Nell’ambito del programma di interventi per la conservazione, valorizzazione e potenziamento museale di Palazzo Medici Riccardi, la Provincia di Firenze sta realizzando dei lavori di scavo che hanno prodotto alcuni rinvenimenti archeologici di notevole interesse scientifico. Sono riemerse importanti tracce della storia della città, dall’epoca pre-romana fino al periodo di Firenze capitale. Tra i vari ritrovamenti è tornato alla luce anche un tratto dell’antico corso del torrente Mugnone deviato dagli antichi Romani.
I resti della villa usata per riempire il letto del torrente hanno riconsegnato ai ricercatori numerosi oggetti dell’epoca, tra cui strumenti di medicina usati probabilmente dal proprietario della casa. Tra questi appare di notevole interesse la statuina usata per studi anatomici: un pezzo unico nel suo genere. Gli scavi sotto Palazzo Medici Riccardi hanno riportato alla luce anche un pezzo di muratura, presumibilmente appartenente alla quinta cerchia muraria (1172-75) della città di Firenze. Durante lo scavo dei vani scantinati è stato individuato un livello limo-sabbioso archeologicamente sterile di origine alluvionale identificato con la sponda naturale del torrente Mugnone, che al momento della fondazione di Florentia scorreva in questa zona in direzione dell’Arno in cui si riversava all’altezza dell’attuale Ponte Vecchio. In piena epoca romana, intorno al II sec.
d.C., tale corso è stato regimentato e l’intera zona, paludosa e acquitrinosa a causa della presenza del Mugnone, qui assai ramificato, è stata bonificata grazie all’apporto artificiale di strati di riempimento, terra presa per praticità da zone limitrofe antropizzate, ma ormai abbandonate. Antropizzate per la molteplicità dei reperti che restituiscono, materiali in estremo stato di frammentazione, ma appartenenti a tutte le classi ceramiche romane, oggetti per il gioco e l’igiene personale, oltre che resti di pavimentazioni e di decoro parietale. Una particolarità da mettere in evidenza riguarda un piccolo gruppo di reperti in metallo, di cui fanno parte oggetti riconducibili a strumenti chirurgici, oltre che ad una piccola statuina in rame, probabile modellino di studio e ad un cucchiaio/contagocce, da ricondurre al corredo di un medico. Nel vano 1 è stata inoltre rinvenuta una struttura di fondazione ad anfore, costituita da sei anfore rinvenute in cerchio infisse in verticale, che trasportavano salse di pesce dalla Betica e dalla Lusitania tra il I ed il II sec.
d.C. Si tratta di un intervento di bonifica, volto ad impedire la risalita di acqua ed umidità dal terreno sottostante, formando uno strato di isolamento a intercapedine che aveva il vantaggio di preservare la struttura che vi era fondata sopra, struttura che nel nostro caso non si è conservata, ma che è stata asportata dalla costruzione dei vani interrati ed intercettata dallo scavo per le fondazioni del cortile di Michelozzo ad opera di uno dei plinti di fondazione. All’epoca medievale probabilmente appartiene la struttura muraria rinvenuta in stato di fondazione al di sotto del muro di delimitazione Nord del vano 6, quest’ultimo infatti poggia direttamente sul manufatto antico, sfruttandolo come sottofondazione. Potrebbe trattarsi di una porzione della quinta cerchia muraria di Firenze, edificata tra il 1172 ed il 1175 e di cui una porzione è venuta in luce lungo via de’ Gori durante uno scavo dei primi anni ’80.
A svantaggio di questa tesi è però un eccessivo arretramento del suo corso verso Palazzo Medici Riccardi, spiegabile forse con un avancorpo esterno nei pressi della porta su via Larga. Il prosieguo dello scavo verso Est potrà darci nuovi elementi per verificare l’esatta cronologia del manufatto. All’epoca riccardiana risale una delle strutture meglio conservata negli scantinati, l’ipotesi al momento più probabile la riconduce ad un forno sotterraneo fatto costruire dal marchese Giuseppe Riccardi per servire la cena alle persone di servizio (ben 250), in occasione della Festa da Ballo data a Palazzo in onore della visita a Firenze dell'Arciduca Ferdinando d'Asburgo, Governatore di Milano e di sua moglie Maria Beatrice d'Este il 21 maggio del 1780. Il forno era ancora ben conservato quando il Palazzo fu venduto dai Riccardi al Demanio (1814), come si deduce dalla relazione di stima del palazzo fatta dall'architetto Marco Moretti per incarico dei giudici delegati nelle cause riguardanti il patrimonio del signor Vincenzo Riccardi. Dai risultati preliminari delle campionature della malta utilizzata come legante della struttura e dell’intonaco che riveste completamente tutte le sue parti interne, consegue trattarsi in tutti i casi della stessa composizione, indizio che il manufatto è stato realizzato nello stesso tempo e non per fasi successive, mentre la mancanza di annerimento delle pareti interne accerta il breve utilizzo della struttura. Tra i reperti recuperati dallo strato di riempimento che la obliterava, spicca una forchetta a quattro rebbi, con manico a violino doppiamente filettato, tipico di un modello detto “Fiddle thread”, ampiamente diffuso dalla fine del XVIII a inoltrato XIX secolo. L’esemplare è un manufatto attribuibile alla produzione vitrea del XVI-XVII secolo.
Si tratta di piccoli vasetti per l’uso della mensa di cui non è precisabile l’esatta funzione e che sono stati interpretati dagli studiosi come contenitori per il sale o le salse piccanti. I primi esemplari compaiono alla fine del XV secolo, ma la grande diffusione avviene fra XVI-XVII secolo con la ritualizzazione del convivio. Ad un primo esame sembrerebbe trattarsi di un manufatto di un certo pregio, ipotesi che per ora può essere suffragata solo dall’uso del vetro blu per ottenere il quale era necessario impiegare ossidi metallici piuttosto rari e molto cari. Il proseguimento dello scavo è molto atteso, soprattutto per la presenza di due dati interessanti da verificare: il primo riguarda un vano adibito molto probabilmente a stalla, a giudicare da una porzione di basolato individuata al momento; il secondo riguarda una pavimentazione coeva alla costruzione medicea del palazzo o addirittura preesistente. Le presenti indicazioni sono state elaborate dall’archeologa Daniela Stiaffini.
Lo studio è a cura di B&P Archeologia, Archeologia e Beni Culturali, a firma di Carlotta Bigagli e Alessandro Palchetti. La consistenza dei ritrovamenti archeologici rinvenuti durante i lavori di risanamento e recupero degli ambienti sottostanti al “Cortile di Michelozzo” ha reso necessario rivedere concettualmente il progetto iniziale nella sua complessità, oltre alle opportune revisioni dei progetti impiantistico e strutturale. Di conseguenza è stato avviato uno studio mirato alla verifica della potenzialità di tali reperti, all’opportunità della loro ostensione e al loro futuro ruolo nella destinazione complessiva dei locali sotterranei, il tutto in previsione dell’auspicata musealizzazione dell’intero palazzo. La particolarmente complessa stratificazione storica, nonché la frammentazione degli episodi rinvenuti alla luce nei piani interrati, richiedevano un progetto capace di riunire quei frammenti, oltre che scientificamente ordinati, in un insieme di forte suggestione, capace di raccontare e raccontarsi. L’immaginario progettuale attinge e s’ispira ai disegni nei quali gli archeologi registrano e annotano le loro scoperte.
La quota del piano della pavimentazione originale viene riproposta nel progetto con un nuovo piano “galleggiante” previsto in lastre di acciaio, di forte spessore e dimensione, tagliato, ricalcando il rilievo delle scoperte archeologiche sottostanti, alludendo così al camminare su un disegno in dimensione reali. Tra le lastre viene lasciata una fuga, un vistoso distacco e sono inoltre incise con alcune essenziali annotazioni, riferenti e in relazione ai reperti, gli stessi si potranno inoltre vedere attraverso dei vuoti predisposti in corrispondenza degli elementi più significativi.
A completare la suggestione del camminare sul vuoto è la luce (una metafora del tempo che passa). L’illuminazione sottostante al piano di calpestio ravviverà le emergenze degli scavi, mentre lo spazio sarà definito da una luce soffusa. Il piano di calpestio per “passare il Mugnone” si configurerà in un ponte, la suggestione della sponda del torrente si otterrà attraverso una particolare ‘illuminazione radiante’, e dall’umidità del terreno che si manterrà costante e controllata mediante un sistema automatizzato indispensabile oltretutto alla sua conservazione.
Un camminamento, simile a quello del ponte sul Mugnone, sollevato sulla rampa d’accesso che dal cortile dei muli conduce agli interrati, oltre che a guadagnare un percorso suggestivo di metafore, musealizzando un manufatto riccardiano (realizzato per consentire la discesa dei cavalli alle stalle in cantina), è un ingresso edotto, comodo e sicuro alla nuova alla del museo. Tra pochi giorni partiranno i lavori di scavo per la costruzione di una galleria in corrispondenza e sotto l’ingresso carrabile al cortile di Michelozzo, nella parte medicea del Palazzo, l’unica attualmente che risulta terrapieno, per completare il percorso di visita di tipo anulare del piano interrato, lo stesso passaggio servirà inoltre a liberare i reperti archeologici dalla servitù delle canalizzazioni degli impianti.
Il nuovo tracciato di collegamento assumerà in una fase successiva un importante ruolo espositivo come vetrina nella quale si entrerà e nella quale troveranno una sistemazione i reperti minuti ritrovati, come gli strumenti da medico, la statuina, il vasetto ecc. Già in questa fase si percepisce la spazialità ri-guadagnata del corridoio corrispondente al loggiato della corte del palazzo, in parte liberata dalle posticce partizioni.