E’ conservato alla Specola, sezione di Zoologia del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze, lo scheletro di elefante indiano cui fece riferimento nel Settecento Linneo, il padre della classificazione scientifica degli organismi viventi, nel descrivere questo tipo di animale. Lo rivela uno studio internazionale pubblicato sulla rivista “Zoological Journal of the Linnean Society” a cui hanno partecipato, fra gli altri, Paolo Agnelli e Fausto Barbagli del museo universitario fiorentino, insieme a colleghi e studiosi di Copenhagen, Londra, Stoccolma, Lincoln, Edimburgo, Perth e dell’Illinois [“Resolution of the type material of the Asian elephant, Elephas maximus Linnaeus, 1758 (Proboscidea, Elephantidae)” doi: 10.1111/zoj.12084].
Il gruppo è stato guidato da Enrico Cappellini, del Museo di Storia Naturale di Copenhagen, che ha in precedenza conseguito il Dottorato di ricerca presso l’Ateneo fiorentino. Nel 1758 Linneo, nel “Systema naturae”, opera alla base della sistematica zoologica moderna, descrisse l’elefante, che nominò Elephas maximus facendo riferimento alle testimonianze di altri naturalisti e a un feto ancora oggi conservato in alcol presso il Museo di Storia Naturale di Stoccolma. Per molto tempo quell’esemplare ha costituito il “tipo” dell’elefante.
Ma lo scienziato svedese non sapeva, allora, che esistono due diverse specie di elefante, indiano e africano, e nella sua descrizione inserì caratteristiche dell’una e dell’altra specie. Nello studio attuale, abbinando osservazioni anatomiche e tecniche di analisi del DNA e delle proteine antiche, si è scoperto che l’esemplare di Stoccolma appartiene alla specie africana, descritta nel 1797 da un altro naturalista e chiamata Loxodonta africana. “A quel punto occorreva trovare un altro esemplare di riferimento per l’elefante indiano”, spiega Enrico Cappellini del Museo di Storia Naturale di Copenhagen.
Tra le testimonianze utilizzate da Linneo nella sua descrizione vi era quella del naturalista John Ray, relativa ad uno scheletro finora non rintracciato. “Quando ho notato nel testo in latino di Ray che l’elefante descritto era stato osservato a Firenze – prosegue Cappellini - ho immediatamente pensato all’elefante della Specola e ho subito contattato i miei colleghi a Firenze”. Dall’indagine bibliografica e archivistica e dallo studio anatomico è emerso che lo scheletro di elefante, descritto da Ray nel corso della sua visita a Firenze nel 1664 e citato poi da Linneo, è lo stesso esposto ancora oggi al centro del grande Salone degli Scheletri, della sezione di Zoologia “La Specola” del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze. L’elefante “fiorentino” della Specola Nato nell’odierno Sri Lanka e portato in Europa dagli Olandesi, l’esemplare fu esibito come curiosità esotica itinerante.
Giunto a Firenze nel 1655, fu esposto nella Loggia dei Lanzi in Piazza della Signoria. Morì in città nel novembre dello stesso anno, come riporta un disegno, oggi conservato alla Biblioteca Reale di Torino, ad opera dell’artista Stefano Della Bella. “Il corpo dell’elefante fu acquistato dal Granduca e trasportato su un carro tirato da otto paia di buoi ai Giardini di Boboli - riferisce Fausto Barbagli, storico del Museo di Storia Naturale dell’Ateneo fiorentino - ove lo scheletro fu preparato per essere esposto tra le curiosità naturalistiche della Galleria Granducale, ossia gli Uffizi”. “Da quel momento lo scheletro entra a far parte delle collezioni scientifico-naturalistiche fiorentine e la sua permanenza a Firenze è costantemente documentata nel corso dei secoli nei numerosi cataloghi delle collezioni” precisa Paolo Agnelli, conservatore del Museo fiorentino. Sulla base di questa documentazione il gruppo di ricercatori ha designato l’elefante di Firenze quale esemplare “tipo” di Elephas maximus (elefante indiano).
Si chiariscono, così, fondamentali aspetti della nomenclatura scientifica di una delle specie più affascinanti e note del regno animale.