di Nicola Novelli Direttore responsabile di Nove da Firenze FIRENZE- Guardando alla grandezza di Firenze e della Toscana nel medioevo e nel Rinascimento, non si può fare a meno di pensare al processo di decadenza in cui ci siamo lasciati andare negli ultimi decennni, adagiandoci nel ruolo di custodi di un passato che ha ormai poco a che fare con noi. E per Toscana intendo gran parte degli abitanti di questa regione, ma naturalmente non tutti, anche perché il popolo fiorentino, o toscano non esiste: è un concetto astratto per indicare un'entità differenziata per formazione, censo e idealità. Che cosa hanno in comune i milioni di persone che abitano il territorio toscano? In questo periodo la crisi economica, diversi fallimenti e una cultura classica, autenticamente conosciuta solo da alcuni appassionati, che non sono legioni, come noto.
Certo c'è il patrimonio materiale lasciatoci dall'epoca rinascimentale. E' un'eredità condivisa, vissuta con modalità che cambiano, gestita con moderazione in certi casi, in altri sperperata. Ma il territorio toscano esisterebbe in maniera coerente solo se i suoi abitanti fossero concordi nel promuovere questo immenso patrimonio in modo razionale, senza campanilismo, con un comune progetto economico, davvero internazionalizzato, facendo rivivere le conquiste culturali di un tempo, grazie ad una classe politica che avesse fatto la scelta di modernizzarsi. Dunque siamo modesti e lucidi: cominciamo a riconoscere le nostre divisioni, i nostri tradimenti, le nostre incompetenze.
Prima di accusare la Globalizzazione, esprimiamo il meglio in casa nostra e cerchiamo di essere degni di coloro che hanno portato la lingua e la cultura toscana all'apogeo della civiltà. Succedeva tra il XIII e il XVII secolo? E' passato molto tempo, troppo, e ora non si tratta più di dimenticare, né di negare l'apporto dell'Umanesimo fiorentino al mondo, ma solo di ricollocarlo al suo posto e di non utilizzarlo come scusa, per evitare di mettersi in discussione e iniziare a lavorare di nuovo. Negli ultimi anni si è fatta una montagna di discorsi, di polemiche, di applausi stupidi in cui le speranze della gente sono state tradite senza vergogna, con promesse senza domani.
Per l'autocondanna toscana, la sua decadenza, non ci sono più alibi. Si può datare l'inizio della crisi sociale con l'avvio -un quarto di secolo fa- dei nuovi traffici commerciali mondiali, che hanno succhiato valore alla tradizione artigianale toscana, base della nostra economia da secoli, a vantaggio di nuovi mercati e nuovi paesi produttori, prevalentemente in Oriente. Ma mentre questo avveniva il nostro territorio ha continuato a dormire sugli allori, sognando nostalgicamente un'epoca d'oro, che è irrimediabilmente passata.
Indulgenti con noi stessi, abbiamo lasciando tranquillamente che il tessuto imprenditoriale chiudesse, fallisse, emigrasse. Il mondo è cambiato, ma in Toscana si è sperato di non esserne toccati. Questa decadenza non risparmia alcun ambito: accentua le povertà della popolazione, non lascia spazio alle ambizioni individuali, diffonde e generalizza l'ignoranza, che è fatta di sottocultura, pessimismo, fatalismo. Con una classe dirigente che spesso ha giocato all'Apprendista stregone, finanziando progetti inutili e credendo di sfuggire al destino.
E' il caso della Banca MPS e della Sanità pubblica, per citare i più eclatanti. Bisogna reagire e agire, ciascuno al proprio posto Una cosa è chiara: corruzione e mancata valorizzazione del merito individuale sono flagelli che minano la società e mettono in ginocchio l'economia. Lasciamo perdere la morale, la psicologia, o l'antropologia. E iniziamo una pedagogia quotidiana per la lotta contro la corruzione e l'ignoranza, che dovrebbe diventare materia scolastica coma la matematica e le lingue.
Dobbiamo insegnare ai nostri bambini che sono questi mali che impediscono al nostro paese di crescere e minacciano il loro avvenire, se non la loro vita. Dobbiamo dimostrarlo con esempi concreti. Citare il caso di paesi usciti dalla storia a causa di questo cancro. Bisogna essere drammatici, se necessario, e fare uno sforzo creativo. Niente retorica. Mostrare le cose come stanno, sottolineando la loro gravità. Coinvolgere i bambini in un gioco di ruolo in cui uno è corruttore (per ignoranza) e l'altro è il corrotto (per passività).
Un po' come la lotta contro pregiudizi e razzismo. Si deve iniziare dalla scuola. Solo così si avrà qualche speranza che il bambino cresca nel disprezzo per un sistema tollerante, che rovina già la vita ai genitori. L'educazione è una scommessa. Anche in Toscana si sta allentando il senso della comunità e delle regole condivise? Certo si parla tanto di giustizia, leggi, equità. Le biblioteche sono piene di testi specifici. Teoricamente siamo ben attrezzati. Ma nella vita quotidiana questi concetti sono sfumati, aleatori e illusori.
Chiedete un'opinione su questo tema a conoscenti e amici che vengono in visita in Toscana dal resto d'Europa, o dal Nord America. Pensate alla vostra esperienza quotidiana nel traffico cittadino, alla sosta delle autovetture sui marciapiedi, o all'abitudine che ci spinge a chiedere a qualcuno per ottenere più in fretta un documento, o saltare una fila. Quel che altrove si chiama “spinta”, o “raccomandazione”. Ben inteso: il cittadino ha assoluto diritto di soddisfare le proprie esigenze.
Ma perché deve passare sempre per il “giogo delle conoscenze”? E' così che la sua mentalità, l'esempio degli altri, la fragilità personale, le relazioni, lo fanno agire come un corruttore potenziale. Il fatto è che spesso in Toscana le cose vanno proprio così. Non c'è stima per l'efficienza del sistema, non c'è fiducia nella giustizia e ognuno si persuade che tutti si vendano e che non sia una questione di intelligenza, o merito, ma soltanto di soldi. Certamente la più parte dei funzionari, degli insegnanti, degli amministratori pubblici, svolgono correttamente il loro lavoro.
Ma basta che una minoranza eserciti le proprie funzioni non valorizzando il merito degli interlocutori, o ricorrendo alla corruzione, senza il timore di una possibile sanzione, che è immediatamente a rischio la credibilità di un sistema sociale. Il sottobanco non è visibile, ma è noto. L'accordo può non essere esplicito verbalmente, ma basta il silenzio degli sguardi. Questo lo sappiamo bene e ne parliamo continuamente. Ma che facciamo per impedirlo? Di tanto in tanto un corrotto viene giudicato, un incompetente rimosso.
Sono casi isolati che pagano per tutti: agli effetti pratici fumo negli occhi. Il male va curato alla radice, con la volontà politica, con la determinazione di chi vuole guarire dal cancro. Non possiamo accontentarci delle belle intenzioni: iniziamo a metter il problema sul tavolo, senza ipocrisia. Non si può contare solo sulla volontà del funzionario di resistere alla tentazione, specie se non ha sviluppato i necessari anticorpi. Per impedire il fenomeno non basta la morale, serve un sistema di controllo dell'integrità e dell'operato dei singoli, e la credibile efficacia delle sanzioni.
Vi sembra una fantasticheria alla “The Untouchables” immaginare un commando di incorruttibili che sanzionino senza pietà? Bisogna tentare nuove strade per rivoluzionare la società. Ma è necessario l'impegno di tutti. Il sistema della formazione, le famiglie, l'informazione. Altrimenti il corpo sociale viene svuotato della sua sostanza e crolla, riportando la Toscana indietro di decenni. Bisogna responsabilizzare tutti con il buon esempio. Il caso della giustizia è il più drammatico.
Avete esperienza di tribunali? Guardate la disperazione della gente. Ascoltatela e prendete sul serio quello che racconta. Le lentezze processuali che si consumano ogni giorno lasciano sgomenti. Anche in questo caso, bastano alcuni incompetenti “ben collocati” per imporre l'ingiustizia flagrante. Ma si potrebbe parlare di calvario anche in altri ambiti amministrativi. Il paese è corroso dall'interno da un'inadeguatezza che finirà per distruggerlo. Ma ricordate che, se il cittadino non ha più fiducia nella pubblica amministrazione, finisce per prendere le distanze dai valori che cementano la società.
Il principio di solidarietà, lo spirito collettivo che la moralità dei nostri antenati aveva cementato in Toscana sono sotto attacco. E non serve a niente lamentarsi. Bisogna reagire e agire, ciascuno al proprio posto. Imparare a non oliare gli ingranaggi, a rifiutare l'incompetenza, a informare le strutture di controllo. Non sarà facile, ci vuole tempo, ma servono i fatti, da parte della politica, della pubblica amministrazione. Ma anche i cittadini devono mettersi in gioco. Riuscite a immaginare le potenzialità della Toscana?