di Fernanda Faini Giurista Periodo di campagna elettorale, liste, firme, simboli, candidature e candidati. Nella frenesia e nell'occupazione di ogni angolo mediatico c'è un termine che ritorna, rimbalza fra i vari orientamenti con diverse sfaccettature e nel rimbalzo cresce di dimensioni, di frequenza, di intensità: la società civile. Tutti i neo-partiti e le neo-liste vogliono essere bandiera della società civile, tutti ne candidano i componenti, tutti ne seguono le idee che traducono nei programmi.
La società civile che sale in politica o la politica che scende nella società civile per essere agita da questa: in ogni caso il termine imperversa. Quasi come fosse un miracoloso quadrifoglio idoneo già solo evocandolo ad attirare preferenze. La mossa mediatica è fin troppo chiara. Molte infatti le ragioni che portano a confidare nella “società civile” per avere fortuna elettorale. La prima senz'altro è il latente e a volte fin troppo evidente sentimento di anti-politica che serpeggia nel Paese, complice la grave crisi che attraversa l’Italia.
Si pensa pertanto che con la mossa “facile” di candidare e promuovere le istanze della società civile si possa cavalcare queste emozioni e ottenere così il massimo risultato con il minor sforzo. Un buon affare che nessuno si farebbe sfuggire. Peccato che sia semplice sconfessare in un attimo gli effetti benefici dell'utilizzo opportunistico della cosiddetta società civile se a guardare bene poi nei programmi, nelle istanze e nelle persone candidate di società civile si vede ben poco. Per carità, si può essere tutti società civile, anche chi ha avuto già ruoli o percorsi politici anche di primo piano e viene “spacciato” per società civile.
Non ci vuole un'analisi nemmeno dei curricula per capirlo, spesso i nomi parlano da soli: nomi noti, personaggi celebri, politici di vecchio corso. Soggetti che si cerca di rendere più attraenti etichettandoli come società civile e accompagnandoli nelle liste con soggetti davvero appartenenti alla società civile e magari di grande valore, situati però talvolta in posizioni di lista che non risulteranno vittoriose: del resto servono a richiamare voti e rendere maggiormente attraente la lista.
Niente di nuovo sotto il sole. Accanto e vicino all'antipolitica l'abuso del termine ha un'altra origine. Nelle intenzioni della strategia che si serve di tale escamotage il termine fa sentire i candidati più vicini, più simili agli elettori. La speranza dell'operazione è che ovviamente questo porti al conseguente voto. Una sorta di similes cum similibus latino: poter scegliere non la Casta, ma persone come gli elettori. Ma ahimè la strategia rischia di essere fallimentare.
Non solo perché poi in realtà come detto di società civile c'è poco e gli elettori a svelare l'arcano non devono sforzarsi per niente. Ma anche perché probabilmente è errato il presupposto della prima e della seconda motivazione. Ossia il fatto che gli italiani non vogliano la politica. Ebbene la società civile (quella vera) invece sente un urgente bisogno di politica, nel senso di occuparsi della cosa pubblica e dei problemi della società di riferimento, di creare strategie a lungo termine e non emergenziali, studiare soluzioni adeguate e sostenibili.
Non ama magari però quella politica fatta di mosse mediatiche, di apparenze, di poca sostanza. Molti più di quanti si creda auspicano un ritorno alla bella politica, termine che invece si cerca di omettere quanto più possibile. Più apprezzato dalla società civile e dagli elettori che si cerca di attrarre sarebbe quindi l'agire una buona politica, portare avanti idee e soluzioni, strutturare programmi. Il tutto con, insieme alla società civile. Questo sì. E poi francamente a guardarlo bene l'inganno è ancora più grande di quanto non appaia dalle precedenti considerazioni.
Infatti basta porsi una semplice domanda per svelare il tutto: i partiti finora che cosa avrebbero fatto di così diverso da quello che viene proposto? E' sempre esistito che accanto alle candidature “politiche” ci fossero candidature della società civile. Solo che non c'era bisogno di dargli tutta questa risonanza, perché si tratta in fondo di una palese ovvietà. O si candidano politici oppure si candida la società, la società civile. E poi intendiamoci nel momento della candidatura il componente della società civile lascia necessariamente, quantomeno temporaneamente, la sfera di appartenenza per abbracciare la denominazione di politico. E allora bello sarebbe che la società civile non fosse nominata a sproposito, abusata, ridotta a etichetta per rendere dolce la pozione amara.
La società civile, quella vera, che progetta, programma, porta avanti idee e soluzioni che cerca di trasmettere ai governi, spesso dimenticata dopo la campagna elettorale, è davvero quella che come dice Gramellini manda avanti l'Italia o almeno non troppo indietro, nonostante la politica. Sarebbe bene nominarla meno e coinvolgerla di più. E allora fateci un favore: non chiamatela società civile.