di Nicola Novelli Il Ponte Vecchio è uno dei simboli della città e uno dei ponti più famosi del mondo. Sin dall'antichità attraversa il fiume nel suo punto più stretto, sostituendo probabilmente un guado. A questa millenaria passerella è dedicato il libro di Claudio Paolini “Ponte Vecchio. Di pietra e di calcina”, edito recentemente da Polistampa. Lettura agile e corredata da numerose illustrazioni, la ricerca di Claudio Paolini nella prima parte percorre gli avvenimenti principali della storia del ponte, nella seconda approfondisce le storie con un'antologia di autori illustri che hanno già raccontato il ponte.
Dalle origini romane nel I secolo, alla ricostruzione del 1200, dall'alluvione del 1333 agli interventi definitivi del 1500 e la nascita del Corridoio Vasariano, dall'immaginario romantico di Henry James alla distruzione dei ponti cittadini nel 1944, sino alla terribile mattina del 4 novembre 1966. Ne emerge con chiarezza la centralità del ponte nella funzione della stessa Firenze. L'antico guado viene sostituito con una passerella in legno nel momento in cui il mondo romano accelera i flussi commerciali da e verso Roma.
Il ponte nasce dove le colline meridionali del Chianti lambiscono quasi la sponda del fiume in corrispondenza di Costa San Giorgio. E' in quel punto che mercanti e viandanti si sentono più sicuri di scendere nella valle dell'Arno, guadare il fiume in un punto particolarmente stretto e proseguire in fretta verso Fiesole e le propaggini dell'Appennino, dove, recuperando visibilità e maggiori garanzie contro le aggressioni si proseguirà il percorso verso la piana padana e il nord dell'Europa. Non è un caso che nei pressi del ponte nasca la nuova città del Fiore, proprio a supporto del guado, garantendo servizio ai viaggiatori in transito.
Dal punto vista urbanistico, se gli antichi avessero potuto decidere dove far sorgere una grande città non avrebbero certo scelto questo punto della valle dell'Arno, così stretta. Una grande struttura urbana avrebbe potuto meglio dispiegarsi più avanti in direzione del mare. Ma è evidente che quel punto della via Cassia, dove la strada guadava l'importante fiume aveva una funzione strategica ineludibile. Immortalato negli scritti dei poeti, nelle tele dei pittori e nei disegni dei viaggiatori, inquadrato ogni giorno dagli obiettivi di migliaia di macchine fotografiche, il Ponte Vecchio fornisce dunque il senso alla città, persino più del Palazzo della Signoria e della cupola del Duomo.
“Il ponte”, scrive Claudio Paolini, “si potrebbe considerare come un campo di battaglia, un veterano di pietra a cui nulla è stato risparmiato: guerre e scorrere di sangue, incendi, alluvioni così violente da sembrare castighi divini. E ancora guerre, questa volta moderne, che hanno visto posare tra le sue pietre mine che ne annunciavano una distruzione poi miracolosamente scampata”.