Identificati i geni correlati alla massa ossea e al rischio di fratture da fragilità. Il risultato si deve a un gruppo di ricerca internazionale che ha compiuto la mappatura più estesa mai fatta per risalire alle cause dell’osteoporosi. La ricerca è stata pubblicata sull’ultimo numero di Nature Genetics in un articolo firmato, fra gli altri, da Maria Luisa Brandi, ordinario di Endocrinologia dell’Ateneo fiorentino, direttore del SOD Malattie del metabolismo minerale e osseo e responsabile del Centro di riferimento su Tumori endocrini ereditari dell’Azienda Ospedaliero - Universitaria di Careggi (“Genome-wide meta-analysis identifies 56 bone mineral density loci and reveals 14 loci associated with risk of fracture”). Il lavoro - coordinato dall’Erasmus University Medical Center di Rotterdam - ha esaminato una popolazione oltre 80.000 soggetti di origine caucasica ed asiatica, provenienti da numerosi paesi nel mondo.
I ricercatori identificano 56 geni che correlano con la massa ossea, di cui 24 erano già noti, confermando precedenti ricerche effettuate con tecniche di wide-genome scanning in piccoli coorti di pazienti. Alcuni di questi geni sono però totalmente nuovi. Inoltre, in più di 31mila soggetti sono stati effettuati studi di wide-genome scanning per identificarne la correlazione con il rischio di frattura da fragilità, che è stata verificata in 14 geni, per 6 dei quali è stata raggiunta la significatività statistica. “Le fratture sono un evento quantizzabile, ma per avere numeri efficaci per un calcolo statistico c’è necessità di numeri molto alti.
Da qui la nascita del gruppo prima paneuropeo e poi internazionale - ha spiegato Brandi. - Firenze ha dato un contribuito importante con oltre 2000 pazienti coinvolti. Il gruppo di ricerca che coordino lavora dal 1992 alla scoperta della correlazione di geni candidati con la riduzione della massa ossea. In 20 anni - prosegue la ricercatrice - abbiamo pubblicato oltre 30 lavori su riviste internazionali dedicati a questo argomento.” Il primo articolo firmato dalla docente nel 1992 aprì la strada agli studi di genetica dell’osteoporosi.
La costituzione del gruppo internazionale - sostenuto dall’Unione Europea - ha permesso alla ricerca di compiere un salto in avanti per arrivare a un prodotto diagnostico che potesse essere applicato in ambito clinico. “Lo studio - spiega ancora Brandi - permetterà lo sviluppo di una mappa diagnostica contenente i geni da noi descritti, che sarà il punto di riferimento per la ricerca genetica. Le fratture da fragilità potrebbero diventare il primo disordine multigenetico per il quale è possibile stabilire a priori il rischio nel singolo soggetto e potrebbe rappresentare la base per studi sulla fisiopatologia del tessuto osseo e per la scoperta di nuovi farmaci per la fragilità ossea.”