E’ possibile migliorare la vita dei pazienti affetti da mielofibrosi con un farmaco in grado di contrastare i sintomi della malattia. Lo documenta uno studio clinico europeo al quale hanno partecipato i ricercatori dell’unità funzionale di Ematologia del Dipartimento di Area critica medico chirurgica dell’Università di Firenze, guidati da Alessandro Maria Vannucchi, pubblicato sull’ultimo numero della rivista The New England Journal of Medicine (“JAK Inhibition with Ruxolitinib versus Best Available Therapy for Myelofibrosis”). La mielofibrosi è una neoplasia ematologica per la quale non esistono cure, a parte il trapianto di cellule staminali da donatore, al quale possono ricorrere solo pochi pazienti giovani.
Le terapie convenzionali risultano assai poco efficaci nel controllare il decorso della malattia, in particolare per quanto riguarda l’aumento di dimensioni della milza e i gravi sintomi sistemici (perdita di peso, febbre, sudorazione e prurito) che peggiorano notevolmente la qualità di vita dei pazienti. “Lo studio, condotto su pazienti con forme avanzate e a prognosi infausta di mielofibrosi, - spiega Vannucchi, associato di Malattie del sangue alla Facoltà di Medicina e chirurgia - ha dimostrato come un nuovo farmaco, il Ruxolitinib, inibitore di due proteine di segnalazione intracellulare JAK2 e JAK1, sia in grado di ridurre il volume della milza e annullare o ridurre grandemente i sintomi in oltre la metà dei pazienti.” “I nostri risultati, che si affiancano a quelli di uno studio americano e australiano a sua volta pubblicato dalla rivista, hanno permesso l’approvazione del farmaco con procedura accelerata da parte della Food and Drug Administration, l’ente di regolazione del farmaco statunitense.
- prosegue il ricercatore - Sebbene questo JAK2 inibitore non sia in grado di curare la malattia, almeno per quanto ne sappiamo adesso, certamente rappresenta un importante passo avanti per la migliore gestione del paziente. La riduzione dei sintomi è di grande aiuto per molti malati perché permette loro di recuperare una qualità di vita personale, sociale e lavorativa soddisfacente. “Questo studio, inoltre, - conclude Vannucchi - pone le premesse per ulteriori sperimentazioni nelle quali si cercherà di sfruttare la combinazione dell’inibitore di JAK2 con altre molecole attive, con l’idea di colpire le cellule neoplastiche da più parti fino alla loro potenziale eliminazione”.