Firenze, 21 febbraio 2012– “Erano passate solo poche ore ma mi pareva un’infinità. Eravamo due bambini senza casa e senza famiglia che fuggivano dalla Germania con solo 10 marchi in tasca e un biglietto del treno. Ora eravamo dei rifugiati. Stavamo scappando verso un mondo sconosciuto, un mondo che ci auguravamo libero dalla persecuzione nazista”. Nel gennaio del 1939 i fratelli ebrei Benno e Heinz, di 9 e 13 anni, vengono messi dai genitori su un treno perché possano lasciare la Germania, oppressa dalle leggi razziali e dalla campagna d’odio antisemita.
Benno racconta il suo viaggio nel diario che scrive all’età di sedici anni: una storia di sacrificio, perdite, coraggio e speranza che le figlie Susy Goldstein, Gina Hamilton e Wendy Share hanno pubblicato in Canada nel 2008 riscuotendo un enorme successo. Finalmente tradotto in italiano da Renata Mayer, il libro Dieci marchi e un biglietto del treno (Mauro Pagliai Editore, pp. 96, euro 10) ha subito meritato una straordinaria diffusione che comprende, oltre alle librerie tradizionali e online, l’estero e la GDO (Unicoop Firenze “Toscana da Leggere”). Nel 1938 il Comitato per i Rifugiati Ebrei convinse il governo britannico a far entrare nel Paese un massimo di 10.000 ragazzi al di sotto dei 18 anni, provenienti da Germania, Austria e Cecoslovacchia.
I bimbi del Kindertransport (letteralmente ‘trasporto di bambini’) riuscirono, al contrario della maggioranza di quelli dell’Europa orientale, a salvarsi e a continuare la loro vita nel paese di adozione. Benno, che oggi ha 82 anni, ha scelto il Canada come luogo per edificare la sua nuova casa, e lì vive ancora oggi. Il libro racconta le tappe della sua fuga da bambino: da Berlino ad Amsterdam, a Londra e infine a Toronto in un itinerario attraverso l’Europa sull’orlo della guerra. Una storia vera, un diario di viaggio denso di momenti drammatici e commoventi accompagnato da foto d’epoca e da un apparato destinato alle scuole che propone argomenti e spunti di riflessione a testimonianza dell’attualità della vicenda narrata.
“Ho raccontato la mia storia”, scrive Benno, “sperando di combattere l’ignoranza, i pregiudizi e l’intolleranza. Dobbiamo essere sicuri che nel mondo non si ripetano gli avvenimenti che portarono alla seconda guerra mondiale”.