Firenze– Un milione e mezzo di euro tra il 1999 e il 2010: a tanto ammontano i contributi pubblici erogati all’azienda agricola Il Forteto, il cui fondatore Rodolfo Fiesoli è attualmente agli arresti domiciliari con l’accusa di gravi abusi nei confronti dei minori ospitati dalla comunità. “I requisiti per partecipare alle procedure di assegnazione dei contributi sono individuati negli atti di programmazione e nei relativi documenti attuativi. Tra i requisiti di accesso, anche la clausola che i richiedenti non devono aver riportato, nei precedenti cinque anni, condanne passate in giudicato o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile”.
Così l’assessore al Welfare Salvatore Allocca ha risposto all’interpellanza in merito ai “contributi stanziati dalla Regione in favore della Fondazione Il Forteto”. I dati emergono dalla risposta dell’assessore Salvatore Allocca a un’interrogazione presentata dal consigliere regionale Dario Locci (Gruppo Misto). "Come può la Regione Toscana – attacca Locci - dichiarare che il Forteto aveva tutte le carte in regola per accedere ai finanziamenti, nonostante il suo fondatore fosse già stato condannato per reati simili nel 1985? L’assessore non può aggrapparsi ai cavilli legali, dov’è finito il buonsenso?”.
Nello specifico, solo per quel che riguarda gli anni dal 1999 al 2010, “l’azienda agricola Il Forteto ha ricevuto 51.241 euro di contributi per attività afferenti al sociale”, si legge nella risposta fornita dall’assessore Allocca in Aula. Di questi, 45mila si riferiscono al progetto “Chiaroscuro2”, che riguardava l’attivazione di percorsi di inclusione e superamento del disagio per giovani adolescenti italiani e stranieri in collaborazione con enti locali e agenzie scolastiche. A questi fondi si aggiungono contributi per 1,5 milioni di euro in totale, “erogati nell’ambito di procedure concorsuali bandite dalla Regione o direttamente dall’Unione europea per l’assegnazione di aiuti in favore degli imprenditori agricoli”.
Contributi per l’assegnazione dei quali era necessaria la verifica della cosiddetta “moralità professionale del beneficiario”, ovvero l’assenza di condanne nei cinque anni precedenti. “La Regione – conclude Locci – non può nascondersi all’infinito dietro la magistratura, si assuma le responsabilità delle proprie scelte”.