Prato – La Regione Toscana ha presentato stamani a Prato, a palazzo Buonamici, il rapporto 2011 sulla povertà. Il report Esclusione sociale e disagio grave in Toscana. Indagine sulle strutture e sui servizi per la povertà è stato illustrato dal curatore Fabio Bracci e commentato dall'assessore della Provincia di Prato Loredana Ferrara e da Giovanna Faenzi, dirigente regionale dell'area inclusione sociale. Hanno partecipato il presidente della Provincia Lamberto Gestri, l'assessore del Comune di Prato Dante Mondanelli, della Provincia di Firenze Antonella Coniglio, e il vescovo di Prato Gastone Simoni.
Presenti anche il presidente del Consiglio provinciale Giuseppe Maroso, il capogruppo Idv Luca Mori, il capogruppo Lega Nord Matteo Santini e i consiglieri Giulia Anichini (Pd) e Matteo Cocci (Pdl). Proprio il presidente della Provincia Gestri, preoccupato per il quadro sociale delineato dal rapporto stesso e dagli interventi che si sono susseguiti nel corso della mattinata, ha lanciato un appello perché “si tenga alta l'attenzione sul fenomeno del disagio sociale. A Prato la situazione è pesante, che lo dicono i numeri e gli operatori, addetti e volontari, che in questo settore operano – ha detto Gestri – E mentre le difficoltà crescono, le risorse crollano.
I tagli della Finanziaria sono drammatici, dobbiamo impegnarci al massimo e con grande coesione per utilizzare ogni risorsa e ripensare il sistema welfare”. Anche l'assessore provinciale Ferrara non ha usato mezzi termini. “Chiederò alla Regione e al presidente Rossi un piano specifico per Prato – ha annunciato – Dobbiamo fronteggiare una situazione economica precaria, gli effetti della crisi si fanno ancora sentire e a questi si aggiungono i tagli del Governo – ha detto l'assessore – Se consideriamo poi il numero di stranieri che vivono a Prato non è difficile comprendere che la nostra è una situazione a rischio”. E gli interventi dell'assessore del Comune di Prato Mondanelli e del vescovo Simoni hanno rimarcato le difficoltà attuali.
“Il timore è che quella di Prato diventi una guerra tra poveri vecchi e nuovi – ha detto Mondanelli – Le scelte del Governo non vanno nella direzione che ci aspettavamo, ma lamentarsi non serve. E' un dovere per gli amministratori ripensare strutture e servizi per rispondere ai bisogni”. Il vescovo Simoni è ricorso alla forza inequivocabile dei numeri. “La rete diffusa nella diocesi e coordinata dalla Caritas ha dato ascolto a circa 3700 persone quest'anno, i disoccupati sono oltre il 60% e il 70% sono stranieri”, ha detto monsignor Simoni dichiarando la piena disponibilità a collaborare con le istituzioni per ogni progetto che incentivi ascolto e aiuto. Il lavoro è stato realizzato nel 2010, anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale, utilizzando la base di dati già esistente costituita dalle ricerche realizzate in anni precedenti dalla Caritas, attraverso i Centri di ascolto territoriali, e dai lavori della Fondazione Michelucci sulle strutture di accoglienza e dell'abitare precario.
Sono state prese in considerazione tutte le strutture e servizi che ricevono finanziamenti pubblici o collaborano con essi. Rispetto alla base di dati iniziale, costituita da 209 strutture e servizi, gli osservatori hanno ricevuto 157 questionari. Manca nell'indagine il territorio di Firenze. Rispetto alla distribuzione di servizi e strutture, 29 sono a Pisa, 26 a Livorno, 25 Pistoia, 24 a Lucca, 15 a Prato, 13 a Grosseto, 11 ad Arezzo, 8 a Siena e 6 a Massa Carrara. Più della metà delle organizzazioni (89) ha la propria sede in comuni con più di 50mila residenti; una su tre (56) si trova in comuni medio-piccoli (tra 10mila e 50 mila residenti).
Rispetto all'incidenza dei servizi per area vasta, quella maggiore è stata individuata in quella centrale (soprattutto mense); le strutture, sempre per area vasta, sono maggiori nelle aree nord-ovest (comunità di tipo familiare) e sud-est (strutture accoglienza). Un'occhiata alla forma giuridica. A Livorno e Pisa prevalgono le attività a titolarità pubblica, mentre a Pistoia, Prato e Grosseto le attività di enti religiosi. I soggetti titolari censiti sono 112, quelli gestori 117. Le strutture prevalgono, sia pure di poco (55% circa) rispetto ai servizi.
Le comunità di tipo familiare sono 1/3 delle attività rilevate; mense, attività di distribuzione pasti e cibo sono poco meno del 28%; strutture diurne o notturne di accoglienza sono un quinto circa del totale; le attività di distribuzione di indumenti sono 11, le agenzie sociali per l’alloggio 9. Gli enti religiosi hanno la titolarità del 40% circa delle attività censite, gli enti pubblici di un quarto (soprattutto strutture). La gestione dei servizi è pressoché esclusiva del privato sociale (solo nel 10% dei casi in regime di convenzione), in particolare i servizi di mensa e di distribuzione del vestiario.
Anche per le strutture prevale la gestione del privato sociale ma prevalentemente in convenzione. La gestione di servizi a titolarità pubblica è soprattutto a cura di associazioni di promozione sociale e cooperative sociali. Anno di avvio dell’attività: soltanto 6 su 128 già operanti prima del 1980; più di un terzo negli anni ’90; nell'ultimo quinquennio (2005-2009) c'è stato un relativo rallentamento. Da registrare il ruolo fondamentale dell’associazionismo e del volontariato: solo in 43 casi le attività sono gestite da organizzazioni nelle quali prevale il personale retribuito e in nessun caso è totalmente assente il personale volontario.
Per quel che riguarda i tempi di permanenza, poco meno del 60% tra 4 mesi e 2 anni, più del 16% oltre due anni di permanenza, nel 20% meno di 3 mesi. L'accesso alle strutture avviene prevalentemente attraverso il servizio sociale (57 casi su 81), seguono l’accesso mediato dal terzo settore (28 casi) e l’accesso diretto (22). Significativa la quota di inserimenti mediata da Prefettura, questura ed altri enti (9). Ai servizi prevale l’accesso diretto (47 casi su 65), e tramite il servizio sociale (34: elevato numero di invii effettuato da organizzazioni del terzo settore, 31).
Rilevante il numero di accessi mediato dai centri di ascolto. Rispetto all'utenza, ci sono gli homeless, immigrati/rifugiati, famiglie monoparentali ed adulti fuoriusciti dal mondo del lavoro. Un elevato numero di risposte indicano le tipologie ‘working poors’ e ‘famiglie numerose monoreddito'.Infine la nazionalità. In pochissimi casi è stata rilevata presenza esclusiva di utenti italiani (appena 6 su 141). Presenza esclusiva di solo italiani o stranieri solo nell'11% delle attività censite.
In oltre 1/3 dei casi gli stranieri costituiscono la componente maggioritaria e nel 40% circa c'è un sostanziale equilibrio tra italiani e stranieri. In generale prevalgono i nordafricani, seguiti da rumeni, albanesi e nigeriani. Sempre i nordafricani sono i più numerosi in tutte le tipologie di interventi rilevati, ma soprattutto nel caso delle mense e dei servizi di distribuzione del vestiario. Persone di nazionalità nigeriana sono numerose nelle strutture dedicate alla protezione di donne vittime di tratta. Un importante strumento scaturito dallo studio è la georeferenziazione delle strutture.
La mappa è consultabile all'indirizzo http://mappe.rete.toscana.it/webstat/index.html?area=poverta, da dove si possono ottenere tutte le informazioni (recapiti, orari di apertura, servizi offerti, tipologia delle prestazioni) di servizi e strutture attivi in Toscana. Qui invece http://www.regione.toscana.it/sociale/poverta/index.html è possibile scaricare il volume in formato pdf.