Il cinema italiano del secondo Dopoguerra ha preferito, per così dire, sorvolare sul Risorgimento. Se il fascismo, per motivi strumentali, ne aveva dato una lettura estremamente positiva e retorica, si pensi a “1860” (1934) di Alessandro Blasetti, nel Dopoguerra, a parte "Senso" e il "Gattopardo" di Visconti, non sono molti i film che hanno affrontato il Risorgimento. In qualche modo la retorica del Risorgimento ha impedito un'attenzione anche cinematografica a un momento fondamentale della storia d'Italia Adesso questo film di Martone, salutato con una buona attenzione critica al Festival di Venezia, si annuncia come opera di grande interesse ed arriva nelle sale all'approssimarsi dell'anno delle celebrazioni del cento cinquantenario dell'Unità d'Italia. Il film, in parte ispirato all'omonimo libro di Anna Banti ripercorre senza false retoriche la storia del Risorgimento italiano, a partire dalla vita di tre giovani affiliati alla Giovine Italia. Tre ragazzi del sud Italia, in seguito alla feroce repressione borbonica dei moti che nel 1828 vedono coinvolte le loro famiglie, maturano la decisione di affiliarsi alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini.
Attraverso quattro episodi che corrispondono ad altrettante pagine oscure del processo risorgimentale per l’Unità d’Italia, le vite di Domenico, Angelo e Salvatore verranno segnate tragicamente dalla loro missione di cospiratori e rivoluzionari, sospese tra rigore morale e pulsione omicida, spirito di sacrificio e paura, carcere e clandestinità, slanci ideali e disillusioni politiche. Sullo sfondo, la storia più sconosciuta della nascita del paese, dei conflitti implacabili tra i “padri della patria”, dell’insanabile frattura tra nord e sud, delle radici contorte su cui sì è sviluppata l’Italia in cui viviamo. “Dopo l’11 settembre, riflettendo sul rapporto fisiologico tra terrorismo e lotta per l’identità nazionale - ha dichiarato il regista - mi chiedevo: com’è possibile che il nostro Paese, che ha così a lungo combattuto per la sua indipendenza, non abbia conosciuto niente del genere? 'Noi credevamo' è nato nel tentativo di dare risposte a questa domanda iniziale: poi è cominciato il viaggio dentro la storia italiana dell’Ottocento, alla ricerca di quelle tracce che una certa rappresentazione retorica del nostro risorgimento ha finito per seppellire, privandoci di una prospettiva sul nostro passato evidentemente problematica, ma proprio per questo molto più viva e appassionante.
Abbiamo individuato con Giancarlo De Cataldo tre figure “minori” tra i cospiratori italiani dell’Ottocento e abbiamo attribuito le loro vicende a tre personaggi di nostra immaginazione: intorno a queste vicende abbiamo quindi costruito l’intera impalcatura del racconto, composta di fatti, comportamenti e parole attinti rigorosamente alla documentazione storiografica. Uno dei tre personaggi è ispirato al protagonista di un romanzo in cui Anna Banti racconta la storia del suo nonno cospiratore, 'Noi credevamo'.
Solo una parte di questo libro confluisce nel film, ma il titolo mi è apparso bellissimo e adatto per l’insieme del racconto. La loro storia ha per sfondo la tormentata nascita dello stato italiano, le scelte di un paese eternamente diviso in due (allora tra monarchici e repubblicani), il contrasto dilaniante tra azione e disillusione che segna da allora, come un pendolo amaro, ogni fase della nostra storia. Guardando la radice della nazione italiana si scorgono molte cose della pianta che ne è sviluppata”.
L'anteprima è organizzata da Regione Toscana e FST Mediateca Toscana Film Commission. La proiezione di "Noi credevamo" inaugura la rassegna 1848–1918: Storie d'Italia in cento film, a cura dell'Istituto Gramsci Toscano e del Gruppo Toscano SNCCI. Ad anticipare la proiezione del film, alle ore 19, il regista Mario Martone incontrerà il pubblico all'Odeon Bistrot. di Alessandro Lazzeri