Ieri, giovedì 8 aprile, terza audizione di Idra presso l’Osservatorio Ambientale per il Nodo TAV di Firenze, riunito in seduta plenaria. L’associazione ecologista fiorentina ha illustrato e consegnato un documento che riassume in quattro cartelle i nuovi motivi di dissenso rispetto alla cantierizzazione TAV di Firenze avviata dopo che l’Osservatorio, pur ponendo importanti paletti, ha licenziato un progetto esecutivo riveduto e corretto più volte dal general contractor Nodavia. Sette i principali argomenti contenuti nella memoria depositata (con tre nuovi allegati tecnici) presso l’Osservatorio e che di seguito elenchiamo.
Ancora una volta i decisori fanno i conti senza la città: la mancata pubblicità dei contenuti concreti del progetto esecutivo non promette niente di buono.L’informazione, ha spiegato il portavoce di Idra Girolamo Dell’Olio, “non può essere correttamente concepita, a nostro avviso, se non come un’attività capillare, flessibile, assistita”. Sono necessari investimenti di energie e di risorse capaci di rispondere alle esigenze diffuse di trasparenza e alle richieste motivate di garanzie da parte di un tessuto sociale urbano fin qui imprudentemente bypassato, nonostante i rischi significativi che il progetto comporta a carico di un patrimonio edilizio, storico e architettonico fra i più preziosi al mondo, e nonostante le gravi e sintomatiche insufficienze con le quali il progetto esecutivo è stato presentato al vaglio dell’Osservatorio.
Alcune preoccupanti riflessioni derivano non solo dagli eventi di questi ultimi mesi nel teatro TAV di Bologna, ma dagli stessi contenuti del Parere emesso dall’Osservatorio lo scorso 5 febbraio 2010: in esso si legge ad esempio che le osservazioni dell’Università di Firenze, del SUT (Supporto Tecnico ARPAT) e dell’Autorità di Bacino del Fiume Arno “hanno evidenziato la necessità di rivedere la ricostruzione delle caratteristiche idrogeologiche del sottosuolo e la modellazione del flusso delle acque sotterranee lungo il tracciato ferroviario con ulteriori elaborazioni progettuali”. Al di là delle perplessità già formulate sulla composizione, le competenze, i poteri e i meccanismi decisionali dell’Osservatorio, Idra paventa inoltre il rischio che persino questo parziale strumento di verifica e controllo ambientale, e il suo Supporto Tecnico rappresentato dell’ARPAT, possano venir meno: a partire dal prossimo luglio, infatti, risulta che l’Osservatorio andrà in scadenza.
“Non mancano precedenti inquietanti, scrive Idra, che segnalano un riguardo men che mediocre per la delicatezza dei compiti ad esso affidati: la tratta TAV Bologna-Firenze non ha visto rinnovare l’Osservatorio dal maggio 2007, e i gravi disagi e danni arrecati a Bologna dalla cantierizzazione per il Nodo ferroviario AV sono stati lasciati da quasi un anno privi delle tutele che l’Osservatorio avrebbe potuto assicurare. Siamo molto preoccupati del fatto che anche a Firenze possa verificarsi un caso del genere.
Persino i meccanismi di salvaguardia prescritti nel Parere potrebbero essere agevolmente vanificati qualora l’Osservatorio dovesse decadere senza essere rinnovato”. Perplessità sulle modalità di approvazione del progetto esecutivo di Nodo AV di Firenze: “Ci domandiamo – scrive Idra - se e quanto sia stato prudente accordare l’avallo di un’opera alla conclusione certa della quale mancano – come si desume dal testo stesso del Parere – taluni tasselli essenziali. Ad esempio si apprende che, mentre “in sede di approvazione del progetto definitivo, la Conferenza dei Servizi e l’Accordo Procedimentale del 3 marzo 1999 [...] consideravano completamente definita la materia delle terre e rocce da scavo”, è avvenuto poi invece “successivamente, mentre era già in corso l’iter istruttorio del progetto esecutivo da parte dell’Osservatorio [...] si è introdotta una limitazione precisa al conferimento ed al riutilizzo” nell’area mineraria di Santa Barbara “dei materiali di scavo provenienti dal nodo AV di Firenze; [...] il conferimento di tali materiali di scavo a Santa Barbara [...] è limitato a 1.350.000 metri cubi, a fronte dei 2.850.000 metri cubi complessivi da scavare per il Nodo AV di Firenze”.
L’Osservatorio, sulla base della semplice “intenzione di riutilizzare anche la restante quantità di materiale di scavo” da parte di ENEL Produzione S.P.A., ha conferito il proprio placet all’opera “considerata la necessità di consentire l’avvio dei lavori in tempi rapidi”. Idra si domanda se e quanto questo ultimo tipo di valutazione abbia a che fare con le competenze strettamente tecniche e scientifiche dell’Osservatorio: la “necessità di consentire l’avvio dei lavori in tempi rapidi” suona infatti piuttosto come una esigenza di tipo politico-amministrativo, dalla quale le stime dell’Osservatorio dovrebbero forse prescindere.
E sembra dunque piuttosto ardita, sul piano della coerenza col mandato ricevuto, la conclusione dell’iter: l’Osservatorio recepisce e avalla infatti la “suddivisione del progetto in due fasi realizzative (Fase 1 e Fase 2 di avanzamento), appositamente predisposte da RFI e CG [General Contractor]”, e “su tali basi ritiene di poter esprimere un parere contenente le proprie indicazioni [...] in linea generale su tutta la progettazione esecutiva, ma in linea operativa limitatamente alla realizzazione delle opere ricomprese nella Fase 1 di avanzamento, e correlate alla produzione di 1.350.000 metri cubi di materiale di scavo”.
Non tranquillizza sapere che “l’Osservatorio si esprimerà in linea operativa sulla realizzazione delle opere ricomprese nella Fase 2 di avanzamento, e quindi sullo svincolo di circa 1.500.000 metri cubi, solo dopo la conclusione dell’iter di valutazione da parte del Ministero dell’Ambiente del progetto integrativo di ENEL”: è già successo infatti in Mugello che la fretta abbia fatto nascere parecchi gattini ciechi, come puntualmente attestano le requisitorie dei Pubblici Ministeri sulla scorta delle quali sono state comminate pene severe ai costruttori e ipotizzati danni erariali ingenti, dalla Corte dei conti, a carico dei soggetti autorizzatori.
Già il fatto che si debba prevedere sin d’ora che “dovranno essere effettuati appropriati interventi di preconsolidamento prima dello scavo delle gallerie” nel caso di una scuola, la Ottone Rosai, che è stata demolita e ricostruita altrove proprio per evitare gli impatti della TAV sembra configurare una evidenza di danno alle casse pubbliche, e comunque di incauta progettazione e realizzazione di opere concepite in fasi successive e scarsamente coerenti quando non contraddittorie, come dimostra l’intera biografia del sistema TAV in Toscana (il cosiddetto modello-spezzatino: il collegamento AV Bologna-Firenze ha dovuto transitare da sei diverse conferenze di servizi - tre delle quali nella sola Firenze - coi risultati ambientali che conosciamo). La giustapposizione di interventi progettuali non sempre coerenti produce effetti devastanti anche sui tempi di realizzazione della “grande opera” faraonica decisa sotto la città d’arte Firenze.
Si scopre adesso che “il progetto definitivo posto a base di gara nel dicembre del 2005, approvato dall’Osservatorio Ambientale nel novembre 2005 (per quanto di competenza), prevedeva il trasferimento via ferro delle terre di scavo del passante AV a S. Barbara e delle terre di scavo della Nuova Stazione AV e dello Scavalco a Guasticce , in ottemperanza anche della prescrizione del punto E.2 dell’All. 2 dell’Accordo Procedimentale del 3 marzo 1999”. Ma “successivamente, con una propria nota del 2007, l’Interporto di Guasticce ha dichiarato l’indisponibilità a ricevere altri quantitativi di terre di scavo oltre a quelli dello Scavalco.
Tale indisponibilità ha determinato la necessità di rielaborare il progetto posto a base di gara prevedendo il trasporto a S. Barbara anche dei materiali di scavo della nuova Stazione”. “Inoltre”, leggiamo nel Parere dell’Osservatorio, “al momento dell’elaborazione del progetto esecutivo è stato possibile analizzare nel dettaglio il programma d’esercizio dei convogli destinati adesso tutti a Santa Barbara alla luce della reale capacità di trasporto del nodo ferroviario fiorentino.
Questa analisi ha individuato un quantitativo massimo di convogli che è possibile inviare da Firenze verso il Valdarno. Pertanto è stato necessario adottare modalità costruttive tali da determinare una produzione di materiali di scavo compatibile con le suddette capacità di trasporto”. Questa, dunque, la chiave di lettura delle modifiche nelle modalità di scavo: un’unica fresa, anziché due in contemporanea, “che parte dal pozzo di lancio posto a Campo di Marte, trasla a pieno nel camerone di stazione (non ancora completamente scavato) e arriva nel pozzo di smontaggio delle frese posto a Rifredi.
Viene quindi smontata e rimontata a Campo di Marte da dove inizia a scavare la seconda galleria”. Anche per la Stazione, di conseguenza, una nuova metodologia di scavo: “Top Down” invece che “Bottom Up”. Di qui il considerevole ritardo già annunciato nella consegna dell’opera. Quanto alla “capacità” del Nodo ferroviario fiorentino rispetto alle esigenze di trasporto dello smarino a Santa Barbara (trasporto già integralmente contemplato nel progetto definitivo approvato nel 1999, e che non rappresenta dunque una novità in senso assoluto), di quali strumenti di misura disponeva chi aveva licenziato quel progetto in Conferenza di servizi, se solo adesso – come scopre l’Osservatorio – “è stato possibile analizzare nel dettaglio il programma d’esercizio dei convogli”? Siamo forse di fronte a un nuovo esempio di avventatezza istituzionale, suscettibile di gettare un’ulteriore ombra di discredito sulle modalità di approvazione dell’opera già nel ’99 (quando il Comune di Firenze volle proporre peraltro a tutti i costi una ipotesi di stazione sotterranea già respinta dal Ministero dei Beni Culturali, e conseguentemente bocciata in conferenza di servizi)? Idra segnala inoltre le incertezze che sembrano derivare dal confronto fra i diversi parametri utilizzati nel calcolo della valutazione della subsidenza indotta, e cioè degli effetti sulle costruzioni in termini di cedimenti e rotazioni: nuova documentazione tecnica, proposta da Teresa Crespellani e Claudia Madiai, docenti di Geotecnica presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Firenze, è stata allegata alla memoria.
Essa attesta le fondate perplessità che in ambienti esperti si nutrono in relazione alla fattibilità del progetto di passante e stazione sotterranei nel delicatissimo sistema storico, urbano e metropolitano fiorentino. Né l’OA né il suo supporto tecnico ARPAT, si è appreso, sono abilitati a verificare le caratteristiche strutturali e costruttive dell’opera: una lacuna che si dovrebbe colmare urgentemente, prima che gli scavi abbiano inizio. Dubbi sussistono infine sulle altre tutele di carattere sanitario, epidemiologico, trasportistico, sociale ed economico, né si ha notizia di un qualche strumento di coordinamento fra i soggetti istituzionali ordinariamente preposti alla loro implementazione.
Certo è che l’allarme formalizzato al Nucleo VIA della Regione Toscana già nel ’98 dal Coordinatore Gruppo T.A.V. Igiene Pubblica dell'ASL 10, dott. Giorgio Garofalo, sembra essere rimasto lettera morta. Così come lettera morta sono rimasti sia il Progetto per la sorveglianza dell'impatto sulla salute della popolazione residente a Firenze presentato nel 2000 dalla ASL 10 sia la Proposta di monitoraggio ambientale sanitario dei cantieri delle grandi infrastrutture di trasporto pubblico presentata nel 2001 a quattro mani da ASL 10 e ARPAT.