Le Budelline di maiale che fa la mamma di Daniele sono uno di quei piatti fondamentali della cucina popolare, che stanno alla storia della gastronomia così come il David di Michelangelo sta a quella dell’arte. Un monumento. Daniele, 12 anni, fa la prima media alla Cavalcanti di Sesto Fiorentino e insieme ai compagni della sezione G ha prodotto un ricettario tipico della zona, un Artusi della Piana, attingendo al menù di casa. Altrettanto, negli altri sei comuni del Nord Ovest (Fiesole, Calenzano, Campi, Signa, Lastra a Signa e Scandicci), stanno facendo in questi mesi numerose classi elementari e medie, in tutto oltre 500 ragazzi assistiti da vari insegnanti e dagli animatori dell’associazione Sconfinando. Si tratta di una ricerca sulla cultura alimentare del territorio nel contesto dell’edizione 2010 di "100 itinerari+1", il progetto che l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze produce da alcuni anni con le amministrazioni comunali, Provincia, Regione e Direzione scolastica.
A maggio ci sarà una mostra, ai lavori migliori andrà un premio e in conclusione nascerà un libro collettivo di ricette tanto golose, quanto ormai rare da trovare anche nelle più esclusive trattorie per camionisti. L’operazione è in corso, ma i ragazzi anticipano alcune ghiotte riscoperte, piatti di un tempo in cui l’obesità era un male sconosciuto, delizie oggi destinate a palati più o meno scientemente raffinati. Ecco appunto le Budelline di maiale, che la mamma di Daniele prepara con verza, cipolla, aglio, odori, cannella e chiodi di garofano.
Poi tanta acqua in pentola, pomodoro quanto basta e cottura lenta per 3 ore. Alla fine da leccarsi i baffi. E il brodo è ottimo per il risotto. Tra epiche Ficattole, Gnudi e Roventini di sangue di maiale, brilla l’immortale Zuppa di cipolle rosse riscoperta alla media Da Vinci di Signa dai ragazzi della 2° D. Le cipolle vanno spellate attentamente. Poi si legano con fave, carote, sedano, qualche foglia di basilico, pancetta tritata per insaporire, olio d’oliva di quello buono e sale.
Si rosola a fuoco lento, si affoga il tutto in un litro di brodo, si fa bollire e si serve su fette di pane tostato, innevando di pecorino. Naturalmente non mancano né la gloriosa Ribollita per l’inverno né la frizzante Panzanella per l’estate, tanto meno Peposo o Trippa. E se l’elementare S. Maria a Castagnolo di Lastra a Signa propone Rane fritte e Sugo finto, il piatto più povero ma bello, resta l’indimenticabile e nobilissima Minestra di pane, nome che da solo evoca secoli di stenti. Come molti capolavori della cucina popolare, si faceva con quello che avanzava, se avanzava.
La 2° F della media Fermi di Scandicci suggerisce questa ricetta: soffritto di cipolla, un paio di patate, sedano e verza tagliati a pezzi, pomodoro e pepolino, poi 300 grammi di fagioli cannellini col loro brodo. Si fa cuocere un’ora, si aggiungono fette sottili di pane raffermo, poi ancora 15 minuti sul fuoco prima di andare in tavola fumante. Alla ricerca partecipano anche le 3° classi (sezioni A, B, C, D, E) della media Settimello di Calenzano, che non producono vecchie ricette, bensì uno studio storico-socio-economico ricco di curiosità.
Ricordandoci, tra l’altro, che se la cucina popolare è povera di dolci è perché un tempo lo zucchero costava un occhio della testa. Dunque ci si arrangiava con quel che passava la natura: castagne e pinoli per il Castagnaccio, farina e acqua per Schiacciata e Cenci, rosmarino e uvetta per il Pan di ramerino, un po’ di riso per le Frittelle. Oggi cose da nababbi buongustai. €L'immagine è tratta dall'album di Hedrok su Flickr.