La chiave per prevenire e curare l’osteoporosi potrebbe nascondersi nelle ossa del cranio. E’ quanto suggeriscono i risultati di una ricerca condotta da una equipe della Queen Mary University di Londra e adesso pubblicata dalla rivista PLoS ONE. Ne dà notizia il Professor Salvatore Minisola, docente di Medicina Interna all'Università “Sapienza” di Roma e Presidente della SIOMMMS, la società scientifica italiana alla quale aderiscono endocrinologi, reumatologi, geriatri, pediatri ecc., ovvero gli specialisti che da varie angolazioni trattano le patologie legate all'osteoporosi, al metabolismo minerale e alle malattie dello scheletro. La ricerca, spiega Minisola, smentisce in particolare la convinzione che le ossa siano tutte uguali, dimostrando appunto che tra quelle del cranio e quelle del resto del corpo esistono differenze sostanziali.
Studiando cellule prelevate da cavie di laboratorio, i ricercatori inglesi hanno infatti documentato, in quelle del cranio, un comportamento radicalmente diverso rispetto alle altre ossa nell’espressione di oltre 1200 geni, ossia di circa il 4 per cento circa dell’intero genoma. Questa differenza potrebbe essere all’origine di un fenomeno ben noto: senza un continuo esercizio fisico e uno stile di vita adeguato, le ossa degli arti diventano sempre più fragili e suscettibili alle fratture con il passare degli anni.
Al contrario, senza alcun bisogno di allenamento le ossa del cranio restano solide e compatte anche negli anziani, comprese le donne che, come si sa, dopo la menopausa sono più esposte all’osteoporosi. “La scoperta dei colleghi inglesi è senz’altro importante”, spiega Minisola, “al momento sappiamo che la nostra struttura ossea è condizionata dai geni per circa il 75%. D’altra parte, fattori ambientali rilevanti sono l’alimentazione e gli stili di vita. Studi sui gemelli ci dicono infatti che, a parità di patrimonio genetico, chi dei due riceve fin da piccolo maggiori dosi di calcio e vitamina D sviluppa una massa ossea più compatta e resistente”. Grazie allo studio della Queen Mary University, aggiunge, adesso ne sappiamo certamente di più sulle modalità di invecchiamento del tessuto osseo in diversi segmenti dello scheletro e sui meccanismi attraverso cui si genera l’osteoporosi. “Probabilmente”, suggerisce Minisola, “questi risultati aprono un nuovo scenario che consentirà di capire ancora più a fondo questa malattia, come curarla e come prevenirla.
Si deve tuttavia sottolineare come la ricerca sia ancora allo stadio iniziale e richieda molte verifiche. Se ne possono comunque ipotizzare alcune potenziali interessanti ricadute: in caso ad esempio di frattura femorale, la possibilità di iniettarvi una coltura di cellule staminali craniche per aumentare la resistenza del callo osseo”.