Sono aperte su circuito boxoffice le prevendite dell’evento che si terrà sabato 12 dicembre alle ore 21 presso la suggestiva Badia Fiesolana in memoria di Ernesto Balducci: per la prima volta a Firenze “Canti di miniera, d’amore, vino e anarchia", uno spettacolo di musica e parole del cantante Simone Cristicchi accompagnato dal Coro dei Minatori di Santa Fiora – il cui tour in tutta Italia ha ricevuto grande successo di pubblico e di critica –impreziosito in esclusiva e unicamente per questa data dal contributo di Paolo Hendel, qui in veste non di comico ma di interprete delle parole di Balducci, di cui è stato allievo.
Incentrato sui canti della dura vita in miniera e su racconti del mondo di Santa Fiora, paesino alle pendici del Monte Amiata in cui Balducci, grande figura del cattolicesimo democratico italiano, ha vissuto, la nuova produzione NEM ricongiunge per la prima volta simbolicamente il luogo in cui Balducci ha speso gran parte della sua vita (la Badia Fiesolana), i ricordi della sua infanzia (il padre di Balducci è stato minatore e Balducci è nato e vissuto a Santa Fiora, il 6 agosto del 1922), e i 14 elementi del Coro dei Minatori di Santa Fiora, gruppo di età compresa tra i 19 e gli 80 anni invitato proprio da Balducci anni or sono a Radio Rai. La grande forza interpretativa di Paolo Hendel e la voce limpida di Simone Cristicchi completano il quadro: le due voci divengono parte del coro, interpretando canti di un mondo buio e poco conosciuto, che fa immergere nelle atmosfere che soltanto la musica popolare è in grado di creare, qualcosa di magico, che trasporta nel passato, che rende manifesto e nitido il legame profondo con un patrimonio che è dentro di noi, nascosto nella “miniera dell’ anima”.
Affrontando temi attuali come il precariato e le morti bianche con una prospettiva attenta alla liberazione dell’uomo e degli ultimi – prospettiva cara a Balducci che sosteneva: “Chi ancora si professa ateo o marxista laico e ha bisogno di un cristiano per completare la serie delle rappresentanze sul proscenio della cultura non mi cerchi: io non sono che un uomo”. Ci si immerge nelle gallerie del passato e si scava nella memoria, riportando alla luce preziosi minerali sepolti: le storie e le meravigliose canzoni di una tradizione che non deve andare persa.
“La famiglia in cui sono nato, che era omogenea in maniera perfetta al contesto delle altre famiglie, è vissuta, fino a che non l’ho lasciata, ai margini fra la miseria e la povertà. Dico, ai margini, perché è importante. Non era la miseria. Mio padre faceva il minatore e comunque – cosa incredibile – era un aristocratico nel mondo dei poveri, perché aveva una busta paga mensile che, in un paese dove il soldo circolava pochissimo, era un segno di privilegio. Solo che questa vita di lavoro era intervallata da lunghi periodi di disoccupazione che significavano migrazioni nella vicina Maremma, dove il babbo andava per un mese o due a fare lavori di dissodamento molto faticosi, vivendo in una capanna.
Molti contraevano la malaria. Andavano e tornavano e fra il lavoro della miniera e quello più stressante del dissodamento nella Maremma, tiravano avanti la barca familiare con estrema fatica. E tuttavia, dentro questa vita, devo sottolineare due cose stupende. Innanzi tutto lo spettacolo quotidiano di una vita eroica, di sacrifici incredibili, di una dedizione al lavoro veramente eccezionale. La mattina, verso le quattro o le cinque, sentivo il richiamo del gruppo dei minatori; mio padre scendeva con l’acetilene e partivano a piedi per fare quattordici chilometri e raggiungevano la miniera.
Vi si calavano dentro. La sera, quando imbruniva, stavo alla finestra in attesa che si vedessero le acetilene – i lumi dei minatori che tornavano – per dare alla mamma il segnale di mettere giù la minestra. La presenza del padre c’era solo la sera, a cena. La mattina presto, al buio, ripartiva. Questo scenario di una vita vissuta con grande dispendio di sé, al di là d’ogni limite, mi ha molto marcato”. Da “Il cerchio che si chiude, Ernesto Balducci. M. Locandro