di Alessandro Xenos Non si può dire che manchi la creatività, su questo Renzi aveva ragione. La seduta inizia alle 15.30 circa in un Salone dei Duecento praticamente vuoto, mancano il Sindaco, il suo principale oppositore (Galli), circa quindici consiglieri e la maggior parte degli assessori. Nonostante questo il Presidente del Consiglio comunale Giani deve invitare numerose volte i colleghi a rispettare il silenzio, perché le voci dei pochi presenti sovrastano quella al microfono dell'oratore.
Ma l'inizio delle sedute, si sa, è sempre un po' burrascoso: aspetto allora che si arrivi alle questioni importanti per farmi un'idea. Purtroppo però nel corso del pomeriggio assisto a scene che credevo di aver lasciato agli anni del liceo e che non mi si sarebbero più riproposte: mentre un consigliere dell'opposizione fuma sulla porta e un altro della maggioranza si intrattiene con lui dandogli di gomito, la maggior parte dei consiglieri è concentrata a scrivere sul portatile (la mia buonafede mi impone di credere che si tratti di cose molto importanti per il futuro della città) o a parlare con il vicino riguardo a questioni che evidentemente suscitano grande ilarità.
In questo clima da bar però, come spesso succede, capita di dimenticarsi delle cose importanti e così, su una delibera non di secondo piano, il vice presidente del Consiglio comunale è costretto a far ripetere la votazione tre volte, perché buona parte dei consiglieri del PD non ha capito per che cosa si sta votando. Quando uno dei pochi attenti e ligi, che ad onor del vero ci sono stati, illustra ai colleghi l'Ordine del Giorno da votare, allora tutti si tranquillizzano e si esprimono, facendo notare però che loro non l'avevano letto, ma suona più come una scusa che come una lamentela. Subito dopo comunque il torpore avvolge le menti dei presenti e la situazione rimane calma, fino a quando non fa il suo ingresso nell'aula un ragazzo con una 'magica' busta bianca.
Tutti si svegliano, lo salutano, lo accolgono come il salvatore: è l'incaricato a distribuire i biglietti per la partita di Champions della Fiorentina. Come uno di casa si aggira tra i banchi dei consiglieri e degli assessori e distribuisce una ventina di tagliandi, senza curarsi minimamente del fatto che il dibattito non si è ancora concluso, ma la colpa non è sua, perché sono i consiglieri stessi ad invitarlo ad avvicinarsi. Tutti sono felici ed ora sembrano quasi più disposti ad ascoltare. I lavori proseguono in un clima sereno.
Si arriva ad un’altra votazione, che però mi appare subito un po’ strana: i presenti secondo la schermata sono 40, ma io ne conto 37. Sarà mica che qualcuno ha imparato a “suonare il piano”? Controllo, ed in effetti sono segnalati come votanti tre consiglieri momentaneamente assenti. Decido allora di monitorare anche la votazione successiva e d’improvviso ho un flashback: la scena che vedo mi riporta alla mente le immagini dei cosiddetti deputati “pianisti” trasmesse alla televisione, con l’unica differenza che gli interpreti sono più giovani e di più nobili speranze.
Sono gli stessi giovani dall’aria annoiata che hanno passato il pomeriggio a scrivere sul loro laptop e che ho sentito in altre sedi inneggiare al cambiamento. Questo mi manda su tutte le furie, fa sprofondare tutto il mio cinismo e mi fa cadere nel girone degli iracondi, non finisco in quello dei bestemmiatori solo perché per mia natura non sono portato a certe espressioni colorite tanto care ai fiorentini. Mi assilla il pensiero delle parole spese ad elogiare la presenza dei giovani in politica, dei volti nuovi che dovrebbero rinnovare il modus operandi dei loro più consumati colleghi, della freschezza di idee che può cambiare le cose.
Mi assilla la speranza infranta di non vedere anche i ragazzi della mia età svilire il dibattito consiliare di un comune delegando ad altri un potere che pochi hanno e omologarsi alle dinamiche ‘dietroquintiste’ di alcuni navigati timonieri. Ricordo poi però di aver sentito precedentemente le parole di altri giovani e questo pensiero mi tranquillizza per il momento. Chissà se è solo questione di tempo e di carriera l’adattarsi alla logica dello spot elettorale?