Da dieci anni uno degli appuntamenti più significativi per gli appassionati dell’arte dell’Ottocento è sicuramente la mostra che il Comune Rosignano organizza ogni estate nel Castello Pasquini di Castiglioncello. In quella che fu la residenza del critico Diego Martelli si sono tenute sempre iniziative di qualità grazie anche alla curatrice Francesca Dini che è riuscita ad operare scelte originali e ad esporre vere rarità, opere spesso provenienti da collezioni private e poche note anche agli addetti ai lavori.
La capacità della Dini, una delle più brillanti esperte dell’arte dell’Ottocento, si è, per così dire, ancora una volta, evidenziata nell’allestire la mostra “Da Corot ai Macchiaioli al Simbolismo. Nino Costa e il paesaggio dell’anima”, in programma da oggi, 19 luglio, al primo novembre. Curata da Francesca Dini e da Stefania Frezzotti, l’esposizione analizza il fondamentale ruolo di mediatore culturale svolto da Nino Costa nel panorama europeo. Mostra ben riuscita che non è stata, sicuramente, di agevole realizzazione.
Nino Costa è un pittore significativo che, però, ha prodotto opere non sempre eccelse. Nella sua produzione si alternano opere compiute, soprattutto quelle di piccolo formato, con opere decisamente meno riuscite. E quindi non è stata facile la scelta delle curatrici, che sono riuscite anche ad avere la disponibilità di opere provenienti dal Museo d’Orsay, dalla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti e da importanti collezioni private. La rilevanza del pittore romano è, come suggerito dalla mostra, quella di mediatore culturale.
Costa non ha, a nostro parere, una particolare personalità, un tratto inconfondibile, è un artista che subisce molte suggestioni ed è al tempo stesso un comunicatore di tali suggestioni. La mostra, che è una sorta di monografia del pittore romano, la prima dopo quella tenutasi nel 1927 al Campidoglio, prende le mosse dagli originali studi sul paesaggio eseguiti da Costa dal vero negli anni ’50 ad Ariccia e nella campagna romana, si sofferma sul sodalizio intellettuale con gli inglesi George Mason e Frederic Leighton, attraversando il periodo toscano, in cui il pittore viene a contatto con il gruppo dei Macchiaioli.
Non mancano poi le opere eseguite durante i frequenti soggiorni inglesi, ispirate dall’ambiente preraffaellita e caratterizzate sempre dalla progressiva trasmutazione del ‘vero naturale’ in ‘paesaggio dell’anima’. Circa novanta dipinti eseguiti nel corso dell’intera attività del pittore romano e numerose opere di rinomate personalità della scena internazionale, documentano attraverso un confronto diretto gli influssi e le consonanze che legarono Nino Costa con Corot e i paesisti della Scuola di Barbizon, gli inglesi Charles Coleman, Frederic Leighton, George Mason e infine la cerchia degli artisti della Etruscan School, fra i quali emerge la figura di George Howard, pittore, amico nonché mecenate di Costa. Tra le sezioni in cui si articola la mostra ci sembra particolarmente significativa quella dedicata all’incontro con i Macchiaioli e la Toscana.
In questa sezione, accanto a “Carro rosso”, “Paesaggio presso Livorno”, “Una sera alle Cascine", “L'Arno” e “Donne che rubano legna sulla spiaggia di Ardea” di Nino Costa, sono poste in significativo dialogo “Ulivi sul monte alle Croci” di Abbati, “Criniere al vento” di Giovanni Fattori, "Boscaiole con fascine" di Cristiano Banti e “Le boscaiole” di Telemaco Signorini. L’incontro con i Macchiaioli a Firenze nel 1859 consentì forse per la prima volta a Costa di incidere significativamente sul corso della pittura nazionale italiana.
“Se io sono divenuto artista con qualche poco di merito lo devo a Nino Costa” affermava perentorio e riconoscente Fattori aggiungendo di esser stato “attento alle sue, dirò così lezioni” durante le ”lunghe passeggiate in campagna” e di aver “amato” i suoi studi e i suoi quadri. Nino Costa rimarrà abbagliato, ma non soggiogato dal rapido svolgimento della vicenda macchiaiola e dai subitanei vertici lirici raggiunti da Abbati, Fattori, Signorini, Borrani. Di fatto, nonostante le innegabili tangenze poetiche e biografiche e la solidarietà che Costa sempre manifesterà alla “scuola toscana”, i due percorsi quello della “macchia” e il “ragionato sentimento della natura”, il “modellare dipingendo” proprio della vena costiana sono destinati a correre paralleli.
Costa non condivideva inoltre la graduale sensibilizzazione dell'arte dei toscani alle istanze sociali implicite al pensiero di P.J. Proudhon e alla formulazione dell'estetica del Realismo. Poiché, scrive giustamente la Rossetti Agresti, prima biografa del pittore romano, “l'arte di Costa era, sopra ogni cosa, caratterizzata dal sentimento; egli era un idealista e pensava che l'arte deve sempre suggerire un'impressione nobilitata e raffinata”. La mostra è corredata da un catalogo che è una vera e propria monografia dell’artista Edito da Skira, oltre alle schede critiche delle opere, il volume ospita i saggi di Alison Brisby, Cosimo Ceccuti, Francesca Dini, Stefania Frezzotti, Paul Nicholls, Daniel Robbins, Carlo Sisi e per la prima volta pubblica una selezione dei testi di Nino Costa, critico d’arte e influente commentatore delle esposizioni artistiche nazionali. Alessandro Lazzeri