di Alessandro Santoro - prete
Mi ero riproposto e imposto il silenzio rispetto alla vicenda umana di Eluana Englaro e ho cercato di riempirlo, per quanto mi riesce, solo di ascolto e di preghiera.
Questo mi sembrava il rispetto più grande per lei, per la sua storia, per il dolore dignitoso e sapiente di un padre e di una madre.
Mi sono ritrovato ad assistere ad un “baccanale” odioso e terribile, ad uno scontro incivile, ad un vocìo strumentale ed assurdo, ad un accanimento di parole inenarrabile ed osceno.
Ancora una volta abbiamo mostrato la nostra incapacità di vivere una vicenda così difficile con intelligenza e “pietà” e la Chiesa non è stata da meno con questa difesa “integralista”, e strumentale al proprio potere, della vita.
Non mi sento e non voglio far parte di questo coro indecoroso, di questa nuova ostinata “crociata” in difesa della vita rimuovendo la morte come limite della vita e affidamento di questa al Padre ( per i credenti non dovrebbe essere così?) e, per provare a spiegare che ci può essere un altro modo di affrontare e ragionare sul “crinale” della nostra esistenza dove vita e morte si avvicinano e si incontrano, prendo ben volentieri a prestito le parole autorevoli di Paolo VI indirizzate ai medici cattolici nel 1970: “Il carattere sacro della vita è ciò che impedisce al medico di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte.
Questo non significa tuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza instancabilmente creatrice. In molti casi non sarebbe forse un’inutile tortura imporre la riani mazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo: l’ora ineluttabile e sacra dell’incontro dell’anima con il suo Creatore, attraverso un passaggio doloroso che la rende partecipe della passione di Cristo.
Anche in questo il medico deve rispettare la vita”.
Parole importanti, che ci dicono che è delirio di onnipotenza e onniscienza della Chiesa chiedere alla legge e alla politica di conservare qualunque situazione di vita, in qualunque modo, e negare così gli spazi della libertà e della coscienza.
Ognuno di noi non deve fare altro che dare il proprio contributo perché la società possa trovare un’etica comune e condivisa dove ciascuno possa vivere e morire nell’amore e nella libertà.
Per questo e solo per questo non riesco più a fare silenzio e mi sento di stare dalla parte di chi non accetta questa legge, di chi crede nell’autodeterminazione e vuol salvaguardare l’articolo 32 della Costituzione italiana: “[…] Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”… E tutto questo in nome del mio essere cittadino, credente, prete di questa chiesa che dovrebbe essere testimone credibile di amore e di com-passione…