Firenze- La fuga dei cervelli dalla Toscana sembra essere ancora un fenomeno limitato: solo il 13 per cento dei laureati sceglie di lavorare in altre regioni o all’estero. Ma la situazione è in realtà meno rosea di quanto questo dato potrebbe far apparire. Per rimanere in Toscana, infatti, i giovani si accontentano spesso di un lavoro sottoqualificato e precario. E’ questo il quadro che emerge da una ricerca, dal titolo “Offerta e domanda di capitale qualificato in Toscana” che l’Irpet ha condotto per conto della commissione speciale Lavoro.
I dati della ricerca sono stati illustrati dalla ricercatrice dell’Irpet Laura Antoni questa mattina, nel corso del convegno “Fuga dei cervelli, analisi e proposte” che si è svolto, nell’ambito della Festa della Toscana 2008, nell’Auditorium del Consiglio regionale della Toscana.
I dati salienti: negli ultimi anni il numero dei laureati è cresciuto in Toscana come nel resto d’Italia, passando dall’1,7% della popolazione del 1971 al 7,6% del 2001. Ma il tessuto produttivo regionale, costituito da poche grandi aziende e per lo più da piccole e piccolissime imprese, fa sì che negli anni non sia aumentata una domanda di lavoro qualificata ma al contrario un’occupazione con scarsa specializzazione e bassi titoli di studio.
Come ha spiegato Antoni, all’aumento dei laureati non è seguito pertanto un analogo incremento di richiesta da parte delle aziende. L’entità di questo “mismatch” si sostanzia nel fatto che a tre anni dalla laurea tre toscani su quattro (75%) hanno un lavoro, ma a costo di notevoli compromessi: il 19% ha un contratto di collaborazione e il 26% un contratto a tempo determinato. Inoltre oltre la metà dei laureati nei gruppi di laurea letterario, scientifico e politico-sociale sono sottoccupati, in quanto il titolo di studio posseduto è superiore a quello richiesto per ricoprire il loro posto di lavoro.
E se la quota di chi si trasferisce all’estero è ancora esigua, va sottolineato il fatto che chi fugge va a svolgere un lavoro altamente qualificato, ben remunerato e con buone prospettive di carriera. Partendo da queste premesse, gli intervenuti hanno avanzato problematiche e proposte. Se il consigliere regionale Mauro Ricci, che ha coordinato i lavori, ha sottolineato che “manca il dialogo fra impresa e occupazione intellettuale, il che porta fatalmente a una diminuzione della dignità del lavoro”, Eduardo Bruno, presidente della commissione speciale Lavoro, nel suo intervento ha esordito ricordando che l’articolo 1 della Costituzione è ben lontano dall’essere pienamente attuato.
In Toscana, ha ricordato Bruno, solo una quota esigua del Pil viene investito in ricerca e, d’altro canto, il 74% dei neoassunti ha contratti a termine. “Siamo inoltre davanti a una crisi grave, a casi come quello della Eaton che decide di chiudere pur avendo il 14% di utile. Ci troviamo davanti al fallimento del modello del liberismo sfrenato e del mercato senza regole – ha aggiunto Bruno -. Per questo è necessario intervenire, ma intervenire secondo criteri precisi. Basta con i finanziamenti a pioggia: gli aiuti devono essere concessi solo alle aziende che investono in ricerca e innovazione, che stabilizzano il personale, che non delocalizzano la produzione fuori dalla Toscana”.
Il rettore dell’Università di Firenze Augusto Marinelli ha commentato che i dati della ricerca non sorprendono gli addetti ai lavori.
“Il problema dei laureati toscani che non trovano occupazioni qualificate è di difficile soluzione – ha detto – poiché la struttura del nostro modello economico è tale da non consentire uno sviluppo in questo senso, a meno che non si faccia un salto verso un tipo di economia molto avanzato, basato su livelli di grande contenuto scientifico e tecnologico”. “Questa crisi – ha proseguito il rettore – può essere un’occasione per reagire: abbiamo un grande patrimonio in termini di formazione che va messo a frutto creando un sistema vero.
Il compito della Regione dovrebbe essere quello di creare un sistema a rete”. Il vicepresidente della Regione Toscana Federico Gelli ha osservato che “la Toscana non è indifesa di fronte alla crisi. Abbiamo pronto un pacchetto di interventi per aziende e famiglie, ci sono 665 milioni di euro del Fondo sociale europeo che saranno impiegati per combattere il precariato, per favorire il lavoro delle donne, per incentivare gli scambi internazionali fra studenti. Inoltre la Regione ha deciso di finanziare per i prossimi tre anni 165 ricercatori, i quali possono così investire nel loro futuro”.
Da parte di Giancarlo Righini, direttore del dipartimento materiale e dispositivi del Cnr, è stato sottolineato come anche dai concorsi più recenti risulti che, oltre alla fuga dei cervelli, l’Italia non riesce ad attrarre ricercatori dall’estero. Secondo il presidente dei giovani industriali Alessandro Colombini è necessario innovare il nostro sistema di sviluppo e il ruolo dell’industria va ripensato alla luce dei nuovi scenari. “La crisi ha avuto il merito – ha aggiunto – di riaprire il dibattito sulla reindustrializzazione del nostro territorio: occorrono infrastrutture efficienti e una ricerca strategica, più collegata alle esigenze dell’industria.
Una partnership con i laureati del nostro territorio è fondamentale”. Il segretario della Uil Toscana Vito Marchiani ha spiegato che “non preoccupa tanto la fuga dei cervelli quanto l’ingresso di personale altamente qualificato. Un’impresa che fa del contoterzismo non avrà mai bisogno di personale laureato, serve che l’impresa toscana in futuro sia capace di produrre oggetti che abbiano un rapporto diretto con il mercato”. Il preside della Facoltà di ingegneria dell’Università di Firenze Alberto Tesi, infine, ha illustrato una serie di dati inerenti in particolare i laureati in ingegneria.
Anche in questo caso, ha detto Tesi, la percentuale di fuga dei cervelli è bassa, ma “il concetto di circolazione dei ricercatori non appartiene ancora a questo paese”. (cem)