Lo stato di salute de ''La stampa in Italia 2005-2007''
Preoccupazioni da un settore bisognoso di riforma

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
08 maggio 2008 23:10
Lo stato di salute de ''La stampa in Italia 2005-2007''<BR>Preoccupazioni da un settore bisognoso di riforma

E' la stampa bellezza... e c'è di che preoccuparsi!
Nuvole minacciose si addensano infatti sul panorama editoriale di casa nostra. Come minimo stando a quanto emerso oggi a Roma durante la presentazione del rapporto targato Fieg e dal titolo “La stampa in Italia 2005-2007”.
La situazione è stata definita “preoccupante” dallo stesso numero uno di via Piemonte, Boris Biancheri, che nell'introdurre la relazione ha auspicato un intervento del governo per dare il via a quella riforma del settore, “che da tempo è dovuta”.

Ma, attenzione, “non sostegni a pioggia, ma mirati, per dare a questo comparto industriale lo stesso tipo di supporto che hanno altri settori, dal momento che l'editoria è fondamentale per la cultura di un paese civile”.
Lo stato di salute della carta stampata
La vendita dei quotidiani ha registrato nei passati dodici mesi un leggero rallentamento: -0,3% rispetto al 2006 (vale a dire 5.493.794 copie vendute di media al giorno contro le 5.510.325 dell'anno precedente).
E' vero, una minima flessione, elaborata tra l'altro dalla Federazione sui dati forniti da 54 testate, ma dall'inizio del nuovo millennio la variazione percentuale delle vendite ha sempre prodotto, anno dopo anno, segnali negativi con la sola eccezione del 2006 (stagione in cui si svolsero incandescenti elezioni politiche e l'Italia di Marcello Lippi conquistò il Mondiale di Germania...

sarebbe interessante verificare quanto questi fatti-notizia abbia influito su quei numeri).
“Il clima di perdurante debolezza della domanda - si legge quindi nel rapporto -, che proietta incertezze anche sul piano delle decisioni di investimento, ha prodotto effetti anche sui bilanci delle imprese editrici. Dopo un inizio di millennio caratterizzato da miglioramenti dei margini di redditività, negli ultimi tre anni, dal 2005 al 2007, si sono manifestati segnali di erosione di tali margini”.
Soprattutto per i costi di produzione in costante crescita.
Così se ci mettiamo a spulciare i bilanci delle società editrici scopriamo che nel 2005 ben 40 su 60 erano in attivo, mentre un anno più tardi lo erano 38 su 60.

E, con il trascorrere del tempo, anche i gadget abbinati ai prodotti editoriali, soprattutto i libri, stanno perdendo il loro appeal. Se limitiamo poi il nostro sguardo indagatore alla 'specie' dei periodici ci accorgiamo che la pubblicità è sempre più la loro fonte primaria di vita. Se nel 2005, infatti, rappresentava il 24,4% dei ricavi editoriali, nel 2006 è salita al 25,6% e nei passati dodici mesi ha sfondato il tetto del 26%. Al contrario i ricavi da vendita sono scesi al 73% circa.
“Sull'andamento delle vendite – spiega ancora il testo della Fieg - e dei relativi ricavi influiscono negativamente anche le insufficienze di un circuito distributivo che produce livelli di resa che sul piano internazionale non hanno confronti”.

Dati alla mano: 36,3% di copie rese su quelle distribuite nel 2006 per quanto riguarda i settimanali; 54,4% per i mensili.
Eppure quello italiano è un popolo di lettori
A smentire il luogo comune che vuole gli abitanti del Bel paese dei 'bradipolettori' ci sono infatti i dati dell'ultima indagine del Censis sull'uso dei media che, si legge ancora, “per quanto riguarda la lettura dei quotidiani, ha messo in evidenza come nel 2007 sia entrato in contatto con la stampa di informazione quotidiana il 79,1% della popolazione italiana di 14 anni e più.

In valori assoluti si tratta di 40,4 milioni di individui che leggono copie di quotidiani tradizionali acquistati in edicola, di quotidiani gratuiti e informazioni sui siti internet gestiti da editori di quotidiani. Certamente il dato è risultato da una sovrapposizione tra i vari mezzi di veicolazione dell'informazione quotidiana. Ma è altrettanto certo che la lettura oggi non possa essere circoscritta alla carta stampata in quanto i rapporti tra fonti di informazione e pubblico si sono arricchiti di nuovi canali in un contesto di multimedialità sempre più accentuata”.
Entrando nel dettaglio: i due terzi di questo pubblico acquista il quotidiano che legge, un terzo usufruisce della freepress, infine il 21,1% legge notizie fornite da quotidiani online. E un'ulteriore significativa indicazione si ricava proprio dal web.
Considerata a torto la killer della carta stampata, la Rete si è invece rivelata un'opportunità che ha contribuito ad allargare il pubblico dei lettori.

Tra i cento siti web più visitati sono venti quelli riconducibili a gruppi editoriali. Nello scorso anno il network dei siti web di uno dei principali gruppo editoriali italiani ha aumentato la raccolta pubblicitaria online del 64% rispetto al 2006, un incremento in termini relativi di gran lunga superiore a quello medio fatto registrare dagli investimenti pubblicitari sul resto della Rete.
La questione meridionale
Al centro e al nord si vende un quotidiano ogni nove abitanti, al sud il rapporto scende ad una copia ogni sedici persone.
Gli abbonamenti non decollano
In Austria sette quotidiani su dieci vengono venduti in abbonamento, in Danimarca otto su dieci, in Finlandia, Olanda e Svizzera all'incirca nove su dieci.

E in Italia? Da noi, al contrario, 9 quotidiani su dieci vengono venduti in edicola (peggio riescono a fare solo Portogallo, dati 2005, e Grecia). Ed è proprio la marginalità delle vendite in abbonamento uno dei più annosi problemi per lo sviluppo del settore.
Il fenomeno freepress
“In Italia, le sette principali testate gratuite (Leggo, City, Metro, EPolis, 24', Anteprima Corriere, In Città) hanno raggiunto nel 2007 i 3,990 milioni di copie distribuite in media giornaliera, vale a dire un ammontare di copie che è pari al 50,6% e al 66,5% della tiratura e diffusione medie giornaliere delle testate quotidiane a pagamento.

L'aspetto interessante dei gratuiti è che le principali testate, nate con strategie di forte radicalizzazione in singole città e, quindi, con una iniziale vocazione locale, si sono gradatamente trasformate in network con una presenza estesa sul territorio nazionale. In una situazione economica generale del paese caratterizzata da inflazione crescente e da consumi stagnanti, per la freepress sembrano aprirsi nuovi sbocchi diffusionali e le strategie a rete sul territorio nazionale sempre più accentuate aprono migliori prospettive pubblicitarie.

Non è un caso che la freepress nata con obiettivi di raccolta sul piano locale, nel 2007 ha visto crescere la pubblicità commerciale nazionale (+29,3%) in misura largamente superiore alla locale (+20,8%). In valori assoluti, la commercializzazione nazionale produce un fatturato che è più del doppio rispetto a quello locale, mentre in termini di spazi il rapporto è pressoché rovesciato”.
E per finire... la pubblicità
La pubblicità cresce... ma nostra signora la televisione continua farla da padrona. Nel periodo gennaio-dicembre 2007 il 53% degli investimenti pubblicitarie è finito catturato dal piccolo schermo (con Mediaset che doppia la Rai).

Chissà se fra trentacinque anni il New York Times venderà per davvero la sua ultima copia cartacea? Philip Meyer l'ha pronosticato.

Ai (lettori) posteri l'ardua sentenza.

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