Sono anni che sento mia nonna rammentare la torta Margherita che mangiavano a Natale da lei in Casentino, quando era una ragazzina. -“Che sarà mai farla?!”- abbiamo esclamato io e mia madre con l’arroganza tipica di chi vive nei ‘tempi moderni’. E un giorno di dicembre di qualche anno fa, abbiamo iniziato a sbattere tante uova, anzi tanti tuorli e tanti albumi. È obbligatorio infatti montare gli albumi a neve ferma e i tuorli con lo zucchero. Che nessuno si sogni di utilizzare lo sbattitore elettrico, perché la ricetta fallirà di sicuro.
Ci vogliono pazienza e costanza per questa torta.
Dopo un’estenuante lavoro di braccia di oltre mezz’ora, davanti ai nostri occhi dovrebbe apparire un lago di crema giallo chiaro, soffice e sinuoso. A questo punto non credete di metterci il lievito. Eh, no! Il segreto della lievitazione della torta sta nell’amore e nella forza che avete messo nel montare albumi e tuorli. E infatti quello che è successo a noi è quello che succede alla maggior parte delle cuoche moderne: la torta è venuta bassa, scura, inguardabile.
Messo da parte l’orgoglio ferito, siamo risalite alla fonte: la nonna.
E lei ha rimarcato il fatto che ci vogliono le uova fresche di giornata, perché sua madre andava nel pollaio, sceglieva le più grandi e usava quelle per la torta.
Poi con un movimento armonico e sempre uguale, si metteva di buona lena prima a montare i tuorli con lo zucchero per poi passare agli albumi, che se vengono sbattuti troppo energicamente non montano. Piantati i piloni delle nostre fondamenta, ecco che arrivano la fecola, il burro, il latte, la farina. Facile, no? È la ricetta più banale che esista. E invece, benché sia una torta così primitiva, così semplice, la mia continua a venire bassa e brutta.
È colpa del forno. La mia bisnonna usava il forno a legna.
È colpa delle uova.
Le mie vengono dal supermercato.
È colpa del burro. Non è grasso abbastanza.
È colpa del tempo. Non se ne ha mai abbastanza.
Ha ragione mia nonna, io non saprò mai come è il sapore di quella torta.
Vanessa Bof