La finestra di Nove da Firenze si spalanca su un periodo di grande fervore culturale per Firenze, e precisamente sul momento della nascita del Futurismo in Toscana, movimento artistico nato nel 1909 quando su “Le Figaro”, l'italo-francese Filippo Tommaso Marinetti ne pubblica il Manifesto che esaltava il mito della macchina, quello della tecnica e del progresso teconologico. Un Manifesto che puntava a indicare una nuova visione delle cose e del mondo. Il rumore dell'auto da corsa, il rombo, insomma, prendeva il sopravvento e anche nella poesia e nella pittura si faceva sentire.
Anche l'arte, dunque, si doveva adeguare se non addirittura ispirare al futuro meccanico e tecnico dell'umanità. In quegli anni Firenze viveva una rilevante attività culturale che si organizzava sulle pagine della rivista “La Voce” (1908-1914). I protagonisti di quel lavoro erano Giovanni Papini (Gianfalco), Giuseppe Prezzolini (Giuliano il Sofista), Aldo Palazzeschi e Ardengo Soffici. La qualità artistica del loro contributo aveva persino fatto ingelosire i futuristi milanesi (Boccioni, Carrà e Marinetti), i quali nel 1911 giunsero a Firenze per una vera e propria spedizione punitiva che avvenne alle Giubbe Rosse.
E da quella celebre rissa, paradossalmente, avverrà un ravvicinamento tra i due gruppi tanto da sfociare nel 1913 nella nascita Futurismo toscano. Gli intellettuali della “Voce” decisero, infatti, di fondare una rivista futurista, “Lacerba”. L'intuizione di Papini, Soffici e compagnia, fu quella di rendersi conto che il Futurismo, in quel tempo, fosse la migliore espressione dell'avanguardia sperimentale e che avesse la potenzialità d'incidenza internazionale. Ciò infatti si rivelerà azzeccato se pensiamo al posteriore Futurismo russo, al Maiakovski, al surrealismo e al dadaismo, tanto per fare dei nomi.
Attraverso “Lacerba”, il gruppo fiorentino compie un'opera di sprovincializzazione della cultura italiana, migliorando qualitativamente il movimento futurista e adattandolo alle loro esigenze e alle loro straordinarie intuizioni letterarie. I contatti, poi, che Ardengo Soffici aveva intessuto nei suoi anni parigini (1903-1907) consentirono presto la circolazione, per la prima volta in Italia, di nomi come Pablo Picasso, Apollinaire, Max Jacob. E sulle pagine di “Lacerba” questo aspetto internazionale del Futurismo prese campo.
Vi collaboreranno anche Ungaretti, e i pittori Boccioni e Rosai, saranno organizzate serate futuriste al Teatro Verdi, letture poetiche, mostre di impressionisti dove per la prima volta saranno esposti quadri di Renoir, Pissarro, Monet, e Degas, tra gli altri.
A differenza dei futuristi di Milano, il Futurismo fiorentino appare come un Futurismo 'ricostruttivo', cioè legato alla qualità dei suoi uomini, e che da subito è stato capace di trasformare gli elementi tecnici in elementi ideologici.
In quell'epoca di cambio eversivo della società contemporanea (ricordiamo che stava per arrivare la Grande Guerra), l'editore della rivista fiorentina, Attilio Vallecchi, d'accordo con Papini, la trasformerà in organo di propaganda politica.
“Lacerba”, così, abbandona la letteratura, l'arte in genere, per divenire un periodico d'impostazione interventista, battendosi per l'entrata in guerra dell'Italia. Le pubblicazioni, ben presto s'interromperanno, e molti di questi giovani intellettuali partiranno per li fronte.
Dopo la guerra usciranno alcune nuove riviste futuriste, ma il fenomeno andrà rapidamente a scemare. E a Firenze Papini e Soffici continueranno a guardare all'Europa, ai grandi scrittori europei, ai Joyce dell'Ulisse, ai Proust della Ricerca.
La pittura, d'ora in avanti, avrà un ordine (non più il disordine dei futuristi), e Soffici, l'uomo del Poggio (a Caiano) diventerà, grazie alla sua esperienza, il punto di riferimento per i nuovi grandi artisti quali Rosai e Morandi, tanto per fare due esempi. Per citare qualche opera prodotta da Futurismo da considerarsi come un risultato artistico di un certo livello, Il codice de Perelà (1911), e i Chimismi lirici (1915) di Soffici, quest'ultimo, libro con visioni pittoriche che ha avuto molta influenza sulle generazioni successive.
In esso Soffici unisce la grande tradizione toscana alla grande avanguardia europea. L'epoca della ribellione diventa arte, e le radici toscane prendono il sopravvento e guidano l'artista Soffici verso lidi internazionali ma sempre con lo sguardo che parte dalla città che lo ha visto crescere.
di Francesco Luti