I cento giorni in viaggio dalla Patagonia all’Alaska sono il tema del libro di Tito Barbini, nel quale racconta le proprie esperienze, i luoghi visitati e i personaggi quasi fiabeschi che ha incontrato sulla sua strada (dalla zappatore nel deserto di sale, alle donne di Plaza de Mayo, all’ultimo baleniere). Scrivere questo libro, (una sorta di diario di bordo) è stato per l’autore la naturale conseguenza di quel desiderio di partire, di lasciarsi indietro la vita condotta fino a quel momento e l’impegno politico portato avanti per oltre quarant’anni.
La scelta di un viaggio solitario, a detta dell’autore stesso è stata compiuta al fine di cogliere il cambiamento interiore che si trovava a vivere, per ritrovare una nuova dimensione di se stesso, un nuovo “io” . Dalla recensione di Anna Maspero si intuisce infatti che per l’autore: “Un viaggio è un dialogo interiore, un continuo confronto tra una geografia reale e intima, fra l’altrove e il sé che si è lasciato alle spalle. Un viaggio per trovare nella distanza le risposte alle domande sul senso delle nostre azioni e di una vita spesa nell’impegno civile e politico.
Un viaggio per superare le delusioni e cambiare”. Barbini riflette molto sul significato del viaggio, interpretando il vero viaggiatore come colui che “parte per partire” differenziandosi dai turisti che ricercano mete precise, comodità, velocità. La decisione dell’autore di affrontare il viaggio a piedi o in corriera riflette il desiderio di donare all’esperienza concretezza e lentezza, preferendo “il restare a terra” al volo.
Alice Pistolesi