Sembra quasi che imbarazzi dire che Mario Capecchi è italiano. Forse politicamente parlando, le ricerche scientifiche sulle staminali di Mario Renato Capecchi, vincitore del Nobel per la Medicina 2007 insieme all'americano Oliver Smithies e all'inglese Martin Evans, mettono in difficoltà certo ambiente nazionale pregiudizialmente avverso al progresso e al libero dibattito nella società. Eppure le origini veronesi dovrebbero essere un vanto. E i siti internet USA, giornalistici e universitari non le nascondono.
E allora facciamo festa anche a Firenze, ricordando che nel febbraio 2004 l’Università di Firenze aveva insignito della laurea honoris causa in Medicina il genetista e biologo, nell’ambito delle manifestazioni per la ricorrenza degli 80 anni dell’ateneo.
Mario Capecchi si è trasferito negli Usa ancora bambino. Ha lavorato ad Harvard, poi nell'Università dello Utah, dove è diventato Distinguished Professor of Human Genetics and Biology nel 1993 e capo del Dipartimento di Biologia e Genetica dal 2002. Con i suoi studi ha contribuito in modo fondamentale a definire le funzioni di diversi geni responsabili di malattie umane, quali la fibrosi cistica e la distrofia muscolare. Le sue ricerche hanno riguardato anche lo studio di geni coinvolti nei tumori, nelle malattie neurologiche e cardio-vascolari.
"Mario Capecchi è un Chimico Fisico che ha saputo misurarsi nel campo della Biologia e della Medicina -spiega Paolo Manzelli, direttore del LRE/EGO-CreaNet dell'Uinversità di Firenze- rispetto a coloro che restano confinati nella propria specializzazione accademica, anche quando è divenuta superata.
Capecchi ha voluto affermare la sua Italianita' di origine, sperando che in Italia possano verificarsi le condizioni di sviluppo culturale e scientifico adeguate a favorire la ricerca e non un modo di essere della societa e degli stessi docenti universitari, sempre piu disposti a fare la libera professione e arrangiarsi per mantenere assurdi privilegi tendenti a evitare ogni controllo sui risultati della propria ricerca e sulla qualita dell'insegnamento. Molti soldi della ricerca vengono spesi, piu che per idee innovative, per l'aquisto di strumenti sofisticati, che spesso trasformano il ricercatore in un pigia bottoni per ottenere dati estremamente specialistici, senza che dietro di essi emerga una reale innovazione cognitiva"