Prato: oggi la presentazione del restauro del ciclo di affreschi di Filippo Lippi in Duomo
All'inaugurazione è intervenuto Rutelli: la Primavera del Botticelli non andrà in Giappone

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
05 maggio 2007 19:49
Prato: oggi la presentazione del restauro del ciclo di affreschi di Filippo Lippi in Duomo<BR>All'inaugurazione è intervenuto Rutelli: <I>la Primavera del Botticelli non andrà in Giappone</I>

Termina il restauro di uno dei grandi capolavori del Rinascimento, opera fondamentale per artisti come Michelangelo, Botticelli e Ghirlandaio: il ciclo pittorico con Storie di Santo Stefano e San Giovanni Battista di Filippo Lippi nella Cattedrale di Prato. A 600 anni dalla nascita del pittore, il grandioso ciclo, una delle più alte espressioni della produzione del Lippi per qualità e complessità della pittura, è di nuovo visibile al pubblico a partire da oggi. All'inaugurazione è intervenuto Francesco Rutelli, Vicepresidente del Consiglio dei Ministri e Ministro per i Beni Culturali e le Attività Culturali che rispondendo ad una domanda dei giornalisti ha annunciato: ''La Primavera del Botticelli non andrà in Giappone, sta bene agli Uffizi anche se la decisione sulle proposte di prestito spetta ai tecnici''.

“Rutelli ha imparato la lezione. È senza dubbio importante che il Ministro per i beni e le Attività Culturali abbia pubblicamente manifestato la propria indisponibilità, nel rispetto del Codice dei Beni Culturali, al prestito in Giappone de ‘La Primavera’ del Botticelli, l’opera principale del fondo della Galleria degli Uffizi. Certo, avrebbe potuto dirlo prima, smentendo immediatamente il Presidente Martini, possibilista sul prestito, che adesso vorrebbe ridurre la sua improvvida uscita ad una semplice battuta : come un cabarettista.

Resta il fatto che questa vicenda, che si conclude - così sembra - nell’interesse della tutela del nostro patrimonio artistico, è frutto dell’ invio, fortemente voluto dal Ministro Rutelli, de ‘l’Annunciazione’ di Leonardo da Vinci a Tokyo per motivi meramente promozionali e commerciali . Un prestito - lo ripetiamo - , contro il Codice dei Beni Culturali, che ha ormai creato un pericolosissimo precedente per la salvaguardia del patrimonio artistico culturale italiano.”

Il restauro interamente finanziato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (per un totale di 950.000,00 euro) con un contributo della Provincia di Prato e della Diocesi per la realizzazione del cantiere e della promozione (300.000,00 euro), è stato curato dalle due Soprintendenze per i Beni Architettonici e per il Patrimonio Storico Artistico per le province di Firenze, Pistoia e Prato.

I lavori, preceduti da una campagna diagnostica coordinata dalla Soprintendenza e dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, sono stati eseguiti dai restauratori della CBC di Roma. Per non precludere al pubblico la visibilità dell’opera durante gli anni del restauro, è stato progettato un innovativo cantiere che ha permesso a migliaia di visitatori l’accesso sui ponteggi. Si conclude così una più ampia campagna di restauro, che a partire dagli anni ’80 del Novecento, ha interessato l’intero complesso del Duomo di Prato: dalla struttura architettonica, alle sculture, ai grandi cicli pittorici come quelli di Agnolo Gaddi e Paolo Uccello.

Il restauro del ciclo del Lippi a Prato, al pari della Cappella Scrovegni di Giotto a Padova e della Cappella Maggiore di Piero della Francesca ad Arezzo, è uno dei più importanti e complessi interventi conservativi condotti negli ultimi venti anni in Italia. Il restauro, iniziato nel 2001, oltre ad aver risolto i gravi fenomeni di degrado, ha restituito all’opera, nonostante le perdite verificatesi nel corso del tempo, i valori pittorici originari, la trasparenza e la brillantezza dei colori, la forza dei volumi e degli spazi.

Tutto appare più coerente ed armonioso. La Salomè danza di nuovo in tutta la sua leggerezza e la complessa umanità rappresentata nelle Storie di Santo Stefano e San Giovanni Battista pulsa di nuova vita.
Prima del restauro, gli affreschi apparivano offuscati da uno spesso strato di nerofumo, a cui si aggiungevano depositi di polveri e agenti inquinanti, e da un diffuso biancore, dovuto alla solfatazione, soprattutto in corrispondenza dei toni scuri e della volta, oltre che da alterazioni di fissativi e consolidanti dei precedenti restauri (resine sintetiche).

Le scene erano interessate da lesioni, sollevamenti e distacchi di intonaci e colore: tutta la superficie pittorica si presentava particolarmente fragile. Un fenomeno dovuto a vari fattori, tra cui la particolare tecnica di esecuzione ad affresco con interi brani dipinti successivamente a secco, quest’ultimi destinati a cadere nel tempo se sottoposti a stress climatici e umidità. Se il restauro odierno non ha potuto recuperare le parti a secco andate perdute nei secoli passati, di cui oggi rimangono solo tracce o frammenti, ha tra i meriti quello di essere riuscito a consolidare le superfici pittoriche ed evitare in futuro ulteriori cadute di colore.

Dall’intervento è scaturita anche una più approfondita conoscenza della tecnica pittorica del Lippi, in cui il ricorso alle applicazioni in cera dorata e l’utilizzo di numerose rifiniture a secco sono funzionali ai ricercati effetti luministici e alla libertà spaziale delle scene.
E’ evidente che nel ciclo di Prato, al Lippi non basta la tecnica medievale dell’affresco e nella pittura a tempera, trova la possibilità di esprimere liberamente la forza e la passione del suo genio artistico.

Fu infatti Fra Filippo uno spirito libero, impulsivo e passionale che riuscì ad elaborare uno stile personalissimo. Per tredici anni, dal 1452 al 1465, Fra Filippo lavorerà agli affreschi del Duomo, fra interruzioni, richieste di denaro, solleciti per la conclusione dei lavori, fughe, verifiche e rinegoziazioni del contratto. Sono anni cruciali anche per la vita personale del pittore che proprio all’inizio del 1456, nel periodo centrale dell’esecuzione degli affreschi di Prato, nominato cappellano nel Convento agostiniano di Santa Margherita, si innamora della giovane monaca Lucrezia Buti.

Dopo averla fatta posare per una pala destinata al medesimo monastero, convince Lucrezia a fuggire dal convento portandola a vivere nella sua casa acquistata a Prato. Un anno dopo Lucrezia darà alla luce il primo figlio, Filippino e sarà solo per l’intercessione della famiglia Medici che papa Pio II concederà ai due nel 1461 lo scioglimento dei voti. Il Lippi non sposerà mai Lucrezia, ma ne farà la modella immortale e dolcissima dei suoi dipinti, dalla Salomè del ciclo di Prato alla Lippina degli Uffizi, che darà vita ad un vero e proprio genere copiato per secoli.
Se la tormentata storia d’amore del Lippi darà scandalo senza precedenti tra i contemporanei, la grandezza della sua arte non sarà mai messa in dubbio, come testimonia l’apprezzamento del Vasari: “Fece in questo lavoro le figure maggiori del vivo dove introdusse poi agli altri artefici moderni il modo di dare grandezza alla maniera d’oggi”.

Fra tutti i committenti, Cosimo il Vecchio sarà il suo più grande estimatore, pronto a sopportare per amore dell'arte le intemperanze sentimentali del frate scapestrato. Narra sempre il Vasari (Vite, 1568) che un giorno Cosimo spazientito per i suoi continui ritardi, chiudesse il frate nel Palazzo di via Larga con l’intento di fargli finire un lavoro. Ma dopo due giorni il Lippi “spinto da furore amoroso, anzi bestiale, una sera con un paio di forbici fece alcune liste de’ lenzuoli del letto, e da una finestra calatosi, attese per molti giorni a' suoi piaceri”.
Nei secoli successivi, la fama del Lippi cadrà in oblio, oscurata dalle condanne giudiziarie e dalle vicende amorose.

Solo nell’Ottocento, in pieno Romanticismo, avverrà una piena riscoperta di questo grande artista: per primo sarà il poeta Robert Browning a dargli nuova fama con il poemetto “Fra Filippo Lippi”. Passeranno appena venti anni e Gabriele D’Annunzio, allievo del Convitto Cicognini a Prato dal 1874 al 1881, colpito dalla bellezza della Salomè, si proclamerà “secondo amante di Lucrezia Buti”. Davanti agli affreschi, la invoca: “Chi [...] sei tu Lucrezia Buti? Sei tu quella che danza, simile ad un fior voluttuoso fatto di pieghe in vece di petali, ora chiuso ora socchiuso ora dischiuso? O sei quella che seduta alla mensa fa il gesto pacato e spietato verso la testa mozza, o sei quella dalla chioma a grappoli [...] non una sei ma tre per mio amore, Lucrezia Buti”.
A partire dal ciclo di affreschi della Cappella Maggiore, sarà possibile percorrere un itinerario alla scoperta di Filippo Lippi a Prato che con i suoi collaboratori qui realizzò numerosi dipinti per chiese e monasteri.

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