In occasione della mostra su Desiderio da Settignano, promossa e organizzata dal Museo Nazionale del Bargello, in collaborazione con il Louvre e la National Art Gallery di Washington, sarà allestito per il Cortile del Museo uno spettacolo a partire dal testo di D'Annunzio Sogno di un mattino di primavera. L’iniziativa prende spunto dalla presenza nel dramma (quasi da immaginazione preraffaellita) del ritratto di Madonna Dianora, scolpito da Desiderio, che Isabella, la protagonista, resa folle da un crudo fatto di sangue, tiene sulle ginocchia e accarezza piangendo.
Il lavoro nasce da una stretta collaborazione tra la Compagnia Lombardi - Tiezzi e il Museo Nazionale del Bargello, ed è realizzato grazie al contributo della Banca Aletti.
All’iniziativa partecipano inoltre l’E.T.I. - Teatro della Pergola e la Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Fiorentino.
Lo spettacolo debutta in prima assoluta mercoledì 9 maggio, alle ore 21.15, per restare in scena fino a domenica 27 (tutti i giorni con la sola eccezione di lunedì 14), mentre la mostra è visitabile presso il Museo del Bargello fino al 3 giugno 2007.
Sogno di un mattino di primavera era stato composto da D’Annunzio su esplicita richiesta di Eleonora Duse che desiderava rinnovare la propria immagine di attrice e sostituire al vecchio repertorio di commedie borghesi un nuovo repertorio tragico.
Composto nel febbraio-marzo del 1897 tra le scorribande dei due amanti nella campagna romana, il testo disegna un grande ruolo, quello della Demente, il cui motto Veder verde esprime lo stato d’animo della Duse di quel periodo, rinvigorita, e "rinverdita", come donna e come attrice, dalla speranza di poter inaugurare una nuova fase della sua vita privata e professionale.
Il dramma racconta una storia di amore e morte: un giovane, Giuliano, è stato ucciso fra le braccia della sua amante, Isabella, che ne impazzisce.
Il fratello dell’ucciso, Virginio, forse anch’egli innamorato di Isabella, tenta di farla tornare in sé. Il suo intervento provoca una reviviscenza della notte in cui il dramma si è consumato, ma la sua azione ha un esito dubbio e le ultime righe del poema ci consegnano Isabella forse rinsavita o invece ancor più smarrita nella propria follia.
Il culmine del racconto coincide con la drammatizzazione dell’evento tragico: una sorta di psicodramma ante litteram che fa rivivere a Isabella la tragica notte.
Una scena che ricorda la fine stupefacente di Marnie di Alfred Hitchcock, dove Tippi Hedren rivive, spinta da Sean Connery, un brutto fatto di sesso e sangue, origine di tutti i suoi traumi.
La scena rivela come D’Annunzio risenta della conoscenza, semmai vaga eppur presente, del lavoro di Sigmund Freud, che a questa altezza cronologica ha già pubblicato i suoi studi sull’isteria e che inizia, proprio nel 1897, l’autoanalisi i cui dati sono alla base dell' Interpretazione dei sogni (1900).
La presenza di un medico tra i personaggi amplifica non poco l’effetto psicoanalitico del dramma che risente al tempo stesso di un’atmosfera marcatamente simbolista, i cui segnali evidenti sono la ricorrenza delle parole sogno, mistero, prodigio.
I temi dell’opera sono la passione d’amore, la follia e il sogno intesi come stati mistici capaci di trasmettere sentimenti di potenza e forza creativa e di trasportare in una dimensione extra-quotidiana. In questo ambito si inserisce la magnifica citazione del ritratto scolpito da Desiderio da Settignano.
Il dramma è scenicamente singolare: i protagonisti (Isabella e Virginio) appaiono poco e la loro centralità tematica non coincide con il loro ruolo; esistono in virtù del fatto che sono descritti e raccontati da altri personaggi.
Essi esemplificano e incarnano l’una il motivo della follia e dell’osmosi uomo-natura; l’altro quello del sogno e della forza vitale. Tutto, però, è detto e "parlato", mai scenicamente oggettivato: salvo quell’ultima, incredibile scena, che mette insieme "lo sguardo interiore" del personaggio secondo la pratica di Stanislawskij e le teorie di regia di Edward Gordon Craig. Tutto confluisce nel linguaggio parlato, nella frase dalla sintassi immaginifica, nel vocabolario colto e inventato.
Di questo linguaggio, della sua dicibilità drammatica, della sua musicalità, del suo essere sospeso, in lunga esitazione, tra senso e suono, la regia tiene grandemente conto.