(Firenze, 31 gennaio) Paul Verhoeven, regista di qualità, ma talvolta discontinuo negli esiti, dopo il successo anche commerciale del suo lungo periodo americano, torna a girare nella sua Olanda per raccontare una storia ispirata ad eventi storici, quali la Resistenza e l’orrore della Shoah.
Il punto di partenza della storia basata su vicende reali, è il libro nero del titolo, un’agenda mai ritrovata, che conteneva i nomi di insospettabili traditori e collaborazionisti, e che era stato conservato fino al 1946 da una giovane donna uccisa da ignoti.
Nel passaggio tra la dittatura e la libertà, il regista inserisce eroi impostori e cattivi valorosi in un’efficace lettura dell’ambiguità dell’essere umano, che muove dalla storia di Rachel Stein, giovane cantante ebrea fuggita in Olanda dalla Germania nazista.
La giovane ritrova in Olanda la sua famiglia per perderla subito dopo in un’imboscata tedesca. Sopravvissuta entra in contatto con una cellula della Resistenza e decide di mettere la propria bellezza al servizio della causa, cambiando identità e infiltrandosi nell’ambito del comando tedesco. Riuscirà a sedurre il capitano Müntze, di cui finisce per innamorarsi. Questo non le impedisce di portare a termine la sua missione: il piazzamento di una microspia. Rachel è amata da Hans Akkermans, un medico della Resistenza e quando durante un’irruzione vengono uccisi numerosi partigiani la ragazza è accusata di tradimento.
Ma niente è come sembra e il film riserva non poche sorprese. Apparentemente potrebbe sembrare un feulletton, in realtà BlacK Book è un mix ben riuscito di arte e di commercio. La lezione hollywoodiana si evidenzia in un efficace ritmo narrativo e in scene avvincenti di suspence e di orrore. Ma Il regista non permette che il ritmo prenda il sopravvento sui contenuti e, nella caratterizzazione precisa delle ambiguità dei protagonisti, ci regala un narrazione del tutto anti retorica della Resistenza, e di quelle drammatiche vicende umane tra eroismo e viltà.
Un buon film, interpretato da ottimi attori, diretto dal miglior Verhoeven degli ultimi anni, che ricorda forse la visionarietà del “Quarto uomo“. Al regista anche il merito di avere fatto un film, almeno nella nostra cinematografia,impensabile.
Alessandro Lazzeri