Gabriele Muccino e Giovanni Veronesi: due registi italiani svettano in cima ai box office con due film completamente diversi per genere, attori e cornice. Spinge l’acceleratore sull’attualità, in 750 sale sparse in tutta la penisola, il regista pratese nel sequel di Manuale d’amore; e i ‘capitoli successivi’ del campione di incassi 2006 totalizzano 6.199.674 euro all'esordio in sala. Stessa ricetta, stessa struttura: quattro episodi. Nei giorni scorsi il regista Giovanni Veronesi, più che soddisfatto del grande successo al box office del suo Manuale d'amore 2 ha polemizzato con i critici.
Giovanni Veronesi professore per un giorno a Firenze: martedì 30 gennaio, alle 18, al Laboratorio cinematografico Immagina, in via Borgo Stella 11/r, il regista di “Manuale d’amore 2 (capitoli successivi)”, che sta facendo il pieno nelle sale cinematografiche ma non tra la critica, incontrerà gli allievi della scuola di cinema fiorentina.
L’incontro, aperto al pubblico, sarà coordinato dal giornalista e critico cinematografico Giovanni Bogani e dal direttore della Scuola Immagina Giuseppe Ferlito.
“Non voglio fare il cinema d’autore – racconta Veronesi - quello che vanno a guardare in pochi. E non voglio neanche fare il cinema trash, ma la commedia che racconta l’Italia e che non si dimentica di che cosa vuole il pubblico. Per questo sono contento di venire a Firenze e confrontarmi con gli allievi di una scuola di cinema”.
Giovanni Veronesi
Giovanni Veronesi, nato a Prato nel 1962, ha iniziato giovanissimo: a vent’anni voleva fare l’attore. Bussa alla porta di Pupi Avati – recita in “Una gita scolastica” – poi a quella di Francesco Nuti.
Pratese come lui. Per Nuti, scrive una storia di paternità, di sentimenti familiari: “Tutta colpa del Paradiso”: è il 1984, lui ha solo 22 anni. Da allora, scrive altri trenta film. E ne dirige dieci. Molti di questi film sono successi assoluti, importanti del cinema italiano degli ultimi vent’anni. Diventa uno dei motori del cinema italiano degli anni Novanta e degli anni Duemila. Non fa il cinema per i soldi, dice, ma per il gusto di farlo, di inventare, di vivere una realtà più vivida, più forte, più avventurosa della vita normale.
Dice. Ma forse è anche vero. Lui, senza fare cinema, non ci sa stare. Scrive per Francesco Nuti “Stregati”, “Caruso Pascoski”, “Donne con le gonne”, “Occhiopinocchio”. Poi, mentre la fortuna di Nuti comincia a girare – ma Giovanni gli resterà sempre amico: a lui ha dedicato il suo ultimo film – Veronesi viene chiamato a tenere a battesimo l’esordio di Leonardo Pieraccioni. Anche in questo caso, la coppia funziona: e nascono “I laureati”, “Il ciclone”, “Fuochi d’artificio”.
Leonardo non può fare a meno di lui.
Intanto, Giovanni fa le sue prove da regista. Un film sperimentale come “Maramao”, la storia di Gesù dal punto di vista di Giuseppe – “Per amore, solo per amore” – e un western ricreato in Garfagnana: “Il mio West”, in cui convince David Bowie a lavorare per lui.
E’ convinto che Massimo Ceccherini sia il più grande e il più vero talento comico italiano. Per lui scrive “Lucignolo”, “Faccia di Picasso” e “La mia vita a stelle e strisce”.
Scivola via l’era Cecchi Gori, nasce l’era De Laurentiis.
Aurelio. Giovanni Veronesi viene chiamato dal boss: dirige “Che ne sarà di noi” dove trasforma Silvio Muccino da liceale per film “di nicchia” in divo popolare, e convince Carlo Verdone a fare soltanto l’attore dopo vent’anni, in “Manuale d’amore”. Non dimentica Pieraccioni, con cui scrive “Ti amo in tutte le lingue del mondo”. E con “Manuale d’amore 2”, travolge tutti i record di incassi. Nel primo weekend, sono 6 milioni e 220mila euro di incasso. Di più, nei primi tre giorni, ha fatto solo Benigni con “Pinocchio”.
Gli piace questo mestiere. Gli piace scrivere storie. Gli piace immaginarle. Gli piace vedere che diventano realtà, la realtà ingigantita del cinema. Per fare cinema gli bastano un computer portatile e un tavolino. I mesi con Pieraccioni, a scrivere film, li passa così. Ha avuto molto da questo mestiere. Soldi. Popolarità. Successo. Ha incontrato anche l’amore, grazie a questo mestiere. La sua ragazza è un’attrice in grande ascesa. Ma forse quello che gli piace di più è rifugiarsi in quel paese dei balocchi che è il cinema.
Mentre suo fratello Sandro costruisce mondi con le parole, scrivendo romanzi – “Caos calmo” ha vinto il premio Strega – lui costruisce mondi che si possono anche vedere. “Non voglio fare il cinema d’autore”, dice. “Quello che vanno a guardare in pochi. E non voglio neanche fare il cinema trash. Voglio fare commedia. Quella che una volta facevano Monicelli, Risi, Scola. Nel mio piccolo, vorrei continuare su quella strada. La commedia che racconta l’Italia. E che non si dimentica di che cosa vuole il pubblico”.