(Firenze,29 novembre) Al Teatro Verdi Mario Monicelli ha presentato in anteprima nazionale il suo film “Le rose del deserto”. Con poche parole il regista, che si è detto piacevolmente e visibilmente contento dell' affetto del pubblico fiorentino, ha introdotto con simpatia il suo film che è stato meritatamente.
applaudito alla fine della visione. Un buon film (interpretato da tre straordinari attori, quali Alessandro Haber, Michele Placido e Giorgio Pasotti, pressoché perfetti nei loro ruoli) che evidenzia lo stile e la poetica del regista viareggino.
Se i grandi autori di cinema girano sempre lo stesso film, Monicelli sembra tornare con “Le rose del deserto” nella linea di “La grande guerra” (1959), per quanto riguarda la riflessione sulla follia degli eserciti e, forse di Amici miei (1975) per capriccio ironico-farsesco. La follia della guerra che diventa farsa o forse la commedia tragica che accompagna ogni evento bellico. Sembra essere questo lo spirito con cui il regista narra un episodio ambientato tra i soldati italiani in Libia durante la Seconda guerra mondiale.
L'spirazione del soggetto, un reparto dell'esercito italiano abbandonato a se stesso nel deserto libico, proviene dal romanzo di Mario Tobino “Il deserto della Libia” e da un brano di Giancarlo Fusco . Queste fonti letterarie importanti sono solo lo spunto narrativo perchè Monicelli racconti la sua storia. La sua non è una vicenda di eroi ma di persone normali a contatto con la Grande Storia. Un manipolo d’uomini giovani e inesperti per andare alla guerra, sullo sfondo della disfatta della spedizione africana voluta da Italia e Germania nel '41.
Nell'accampamento, i nostri comunissimi eroi fanno amicizia con un frate italiano (Michele Placido) che aiuta i bambini del villaggio locale, burbero ma efficace nel suo pragmatismo. Ma poi la guerra, che doveva essere lampo, comincia ad allungarsi, e in Africa italiani e tedeschi sono tenuti sotto scacco dagli inglesi. Da qui la necessità, per i protagonisti, di trasferirsi altrove. Dovendo anche sopportare i folli capricci di un generale che li costringe a costruire un cimitero, per fare bella figura con un generale rivale...
“Le rose del deserto” è un'opera che, nonostante una vena sentimentale più marcata del solito e una minor cattiveria, si inserisce perfettamente nella filmografia del regista. Come lui stesso ha affermato: "Lo stile di questo film è il mio, lo stesso della Grande guerra, dei Soliti ignoti, di Amici miei, di Speriamo che sia femmina. Una commedia ironica, a tratti amara, e in certi casi perfino drammatica, tragica. Del resto, la commedia all' italiana è proprio questa". E’ umanità dolente alle prese con un conflitto assurdo, umanità che sembra affrontare gli eventi drammatici con quella voglia di vivere e quella sottile ironia che è la cifra del grande regista toscano.
"Spero che venga fuori un' italia che si butta in un conflitto impreparata, - ha dichiarato Monicelli - con gente che si batte per cambiare la propria posizione: senza retorica patria, con la solita rassegnazione degli italiani trascinati a fare qualcosa di più grande di loro, di cui non importa niente a nessuno, ma che sopportano eroicamente”Dal film, opera di un autore sempre giovane, si ricava questa visione “realistica “ e vera degli Italiani, una visione che ha permesso al regista di essere stato nei sessanta anni di attività, il cantore di un italianità mai retorica, ma sempre accompagnata da quella cattiveria.
cinismo, umanità e ironia che sono proprie della nostra esistenza e che hanno fatto della “commedia all' italiana ” il genere cinematografico più peculiare del nostro paese. Un genere che ha dato conto in maniera credibile dei cambiamenti in corso nella società italiana dell' ultlmo mezzo secolo.
Alessandro Lazzeri