L’Italia è sotto la lente d’ingrandimento di un nuovo studio “Impatto sanitario del PM10 e dell’ozono in 13 città italiane” condotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) Ufficio Regionale per l’Europa per conto dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) e presentato nei giorni scorsi a Roma in occasione del seminario di sanità pubblica su inquinamento atmosferico, traffico urbano ed effetti sulla salute. 13 città italiane di oltre 200 000 abitanti: Torino, Genova, Milano, Trieste, Padova, Venezia-Mestre, Verona, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Catania, Palermo, sono sotto osservazione, il che equivale a circa 9 milioni di persone pari al 16% del totale della popolazione nazionale.
Lo studio stima le morti e le malattie dovute al PM10 e all’ozono evidenziando così le implicazioni di possibili politiche che assicurino alle città aria di qualità.
“L’impatto sanitario del PM e dell’ozono rappresenta un problema di sanità pubblica considerevole”, afferma Roberto Bertollini, Direttore Salute ed Ambiente OMS Europa. “Continuiamo a sopportare un pesante fardello su individui e famiglie, con morti premature e malattie croniche ed acute; sulle nostre società, con la diminuzione dell’attesa di vita e della capacità produttiva; ed infine sui sistemi sanitari in termini di costi di migliaia di ricoveri ospedalieri”.
“Il II Rapporto APAT sulla Qualità dell’Ambiente Urbano evidenzia come il PM10 emesso dal trasporto su strada rappresenta la principale fonte di emissione di particolato nelle aree metropolitane italiane. Se a questo si aggiunge che i trasporti su strada sono anche responsabili delle maggiori quote di precursori di particolato secondario, quali ossidi di azoto e composti organici volatili, si capisce l’importanza di efficaci politiche per la riduzione delle emissioni da traffico nelle aree urbane”, spiega Giorgio Cesari, Direttore Generale dell’APAT.
I nuovi risultati indicano che l’impatto sanitario è considerevole e sono in linea con quelli ottenuti in valutazioni simili in altre parti d’Europa.
Si riferiscono in particolare alla mortalità per effetti a lungo termine attribuibile alle concentrazioni di PM10 superiori ai 20 μg/m3, limite che la direttiva comunitaria 99/30/EC ha indicato per il 2010, anche proposto dalle linee guida sulla qualità dell’aria dell’OMS appena revisionate.
Tra il 2002 e il 2004, una media di 8 220 morti l’anno sono dovute agli effetti a lungo termine delle concentrazioni di PM10 superiori ai 20 μg/m3, il che equivale al 9% della mortalità negli over 30 per tutte le cause esclusi gli incidenti stradali.
Le nuove conoscenze disponibili sugli effetti sanitari del PM10 consentono di scomporre l’impatto della mortalità per gli effetti cronici oltre i 20 μg/m3 in cancro al polmone (742 casi/anno), infarto (2 562), ictus (329). Anche per le malattie i numeri sono elevati ed includono bronchiti, asma, sintomi respiratori in bambini e adulti, ricoveri ospedalieri per malattie cardiache e respiratorie che determinano perdita di giorni di lavoro. Lo studio si estende anche all’impatto dell’ozono.
L’ozono si sta delineando sempre più come un inquinante pericoloso, soprattutto in Europa meridionale. Le concentrazioni sono in aumento e gli effetti sulla salute maggiormente consolidati. Si stima che abbia un impatto annuale di 516 morti nelle città italiane, che si aggiungono a quelle dovute al PM.
La metodologia applicata combina quattro fattori principali: dati demografici, sanitari ed ambientali ed evidenze scientifiche. In particolare, l’uso dei dati ambientali più recenti e delle evidenze scientifiche più aggiornate (aumento del rischio sanitario all’aumentare delle concentrazioni di inquinanti) affina le valutazioni dell’impatto sulla salute precedentemente effettuate.
Le stime più recenti rafforzano la necessità di un’azione immediata per ridurre gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute nelle 13 città esaminate, e probabilmente in molte altre in Italia ed in Europa.
Il rispetto della legislazione comunitaria produrrebbe un sostanziale risparmio in termini di malattia, per questo è fondamentale che i limiti del PM10 non siano rilassati, ma osservati prontamente. L’Italia è solo uno dei paesi europei in cui questo potrebbe rappresentare una sfida impegnativa.
Nel 2005 in Italia molte delle città principali avevano raggiunto i 35 giorni di eccedenza dei 50 μg/m3 già alla fine di marzo e poche avevano rispettato i limiti annuali di 40 μg/m3.
A livello europeo, le concentrazioni diminuite sostanzialmente tra il 1997 e il 1999, sono gradualmente risalite più di recente.
Un’azione politica che affronti il problema del traffico appare necessaria e appropriata. I veicoli motorizzati rappresentano la principale fonte urbana di inquinamento: un sostanziale guadagno in salute può essere ottenuto grazie a politiche che mirino al contenimento delle emissioni da trasporto privato motorizzato e promuovano il trasporto pubblico, la pratica di camminare ed andare in bicicletta.
Nelle città italiane un’attenzione particolare dovrebbe essere dedicata all’inquinamento provocato dai ciclomotori, in particolare quelli con il motore a due tempi.
L’azione nel campo del trasporto è indicata anche in considerazione dei suoi effetti collaterali. Le restrizioni al traffico motorizzato privato ridurrebbero anche il danno alla salute provocato dagli incidenti stradali, dall’esposizione al rumore, dall’inattività fisica e dagli effetti psicosociali. Ad esempio, nel caso degli incidenti stradali, gli esiti fatali registrati tra i residenti delle 13 città italiane sono in media della stessa portata dell’impatto a breve termine del PM10.
Quantificare l’impatto sanitario di politiche ad ampio respiro è alla base dello sviluppo di misure efficaci rivolte alla salute e all'ambiente.
Il nuovo studio effettuato in Italia dà il via alla valutazione di molteplici esiti sanitari dell’inquinamento atmosferico e costituisce la base della valutazione di politiche integrate a livello locale e nazionale per raggiungere concentrazioni di PM più sicure per la nostra salute. Riprodotto in altri paesi, fornirebbe utili basi conoscitive a supporto di politiche orientate al miglioramento della qualità della vita in molte città europee.
Particolato fine: come danneggia la salute
Il particolato fine (PM) è un agente inquinante composto da un insieme di particelle che possono essere solide, liquide oppure solide e liquide insieme e che, sospese nell’aria, rappresentano una miscela complessa di sostanze organiche ed inorganiche.
Queste particelle variano per dimensione, composizione ed origine. Le loro proprietà sono riassunte nel loro diametro aerodinamico, definito come dimensione della particella: aerodinamico inferiore a 10 μm è chiamata PM10 e può raggiungere le alte vie respiratorie ed i polmoni; le particelle più piccole o fini sono chiamate PM2.5 (con un diametro aerodinamico inferiore a 2.5 μm); queste sono più pericolose perché penetrano più a fondo nei polmoni e possono raggiungere la regione alveolare.
La dimensione delle particelle determina anche la durata della loro permanenza nell’atmosfera.
Mentre la sedimentazione e le precipitazioni rimuovono la frazione compresa tra 2,5 e 10 μm (PM10- 2,5 detto anche frazione grossolana del PM10) dall’atmosfera nel giro di poche ore dall’emissione, il PM2.5 può rimanere nell’aria per giorni o perfino per settimane.
Di conseguenza queste particelle possono percorrere distanze molto lunghe.
Fonti principali I maggiori componenti del PM sono il solfato, il nitrato, l’ammoniaca, il cloruro di sodio, il carbonio, le polveri minerali e l’acqua.
In base al meccanismo di formazione, le particelle si distinguono in primarie e secondarie.
Le particelle primarie vengono direttamente immesse nell’atmosfera mediante processi naturali e prodotti dall’uomo (antropogenici). I processi antropogenici includono la combustione dei motori delle auto (sia diesel che a benzina); la combustione dei combustibili solidi (carbone, lignite, biomassa) di uso domestico; le attività industriali (attività edili e minerarie, lavorazione del cemento, ceramica, mattoni e fonderie); le erosioni del manto stradale causate dal traffico e le polveri provenienti dall’abrasione di freni e pneumatici; e le attività nelle cave e nelle miniere.
Le particelle secondarie si formano nell’aria a seguito di reazioni chimiche di inquinanti gassosi e sono il prodotto della trasformazione atmosferica del biossido di azoto, principalmente emesso dal traffico e da alcuni processi industiali, e del biossido di zolfo, che risulta dalla combustione di carburanti contenenti zolfo.
Le particelle secondarie si trovano principalmente nella frazione del PM fine.
I rischi per la salute La valutazione sistematica dei dati completata nel 2004 dall’OMS Europa, indica che:
• il PM aumenta il rischio dei decessi respiratori nei neonati al di sotto di 1 anno, influisce sullo sviluppo delle funzioni polmonari, aggrava l’asma e causa altri sintomi respiratori come la tosse e la bronchite nei bambini;
• il PM2.5 danneggia seriamente la salute aumentando i decessi per malattie cardio-respiratorie e cancro del polmone.
La crescita delle concentrazioni di PM2.5 aumenta il rischio di ricoveri ospedalieri d’emergenza per malattie cardiovascolari e respiratorie; il PM10 ha un impatto sulle malattie respiratorie, come indicato dai ricoveri ospedalieri per questa causa.
Relazione tra effetti sulla salute e concentrazioni di PM Nell’ultimo decennio in molte città europee sono stati condotti alcuni studi sugli effetti del PM nel breve periodo, basati sull’associazione tra i cambiamenti giornalieri delle concentrazioni di PM10 e i vari effetti sulla salute.
In generale, i risultati indicano che i cambiamenti di PM10 nel breve periodo ad ogni livello implicano cambiamenti nel breve periodo degli effetti acuti in termini di salute.
Gli effetti relativi all’esposizione nel breve periodo comprendono: infiammazioni polmonari, sintomi respiratori, effetti avversi nel sistema cardiovascolare, aumento della richiesta di cure mediche, dei ricoveri ospedalieri e della mortalità.
Poiché l’esposizione al PM causa nel lungo periodo una sostanziale riduzione dell’attesa di vita, gli effetti nel lungo periodo sono chiaramente più significativi per la salute pubblica di quelli nel breve periodo.
Il PM2.5 si associa maggiormente alla mortalità, indicando un aumento del 6% del rischio di morte per tutte le cause per ogni aumento di 10μg/m3 nelle concentrazioni di PM2.5 sul lungo periodo.
Gli effetti relativi all’esposizione nel lungo periodo comprendono: aumento dei sintomi dell’apparato respiratorio inferiore e delle malattie polmonari ostruttive croniche, riduzione delle funzioni polmonari nei bambini e negli adulti, e riduzione dell’attesa di vita causata principalmente da mortalità cardiopolmonare e dal cancro al polmone.
Studi su larga scala mostrano gli effetti significativi del PM2.5 in termini di mortalità, ma non sono in grado di identificare una soglia al di sotto della quale il PM non ha effetti sulla salute: cosiddetto livello senza effetti.
Dopo un’analisi completa dei nuovi dati scientifici, un gruppo di lavoro dell’OMS ha recentemento concluso che, se esiste un limite per il PM, questo è individuabile nella fascia più bassa delle concentrazioni.