Quando Wayne Shorter nel 2000 è tornato sulle scene musicali dopo diversi anni di isolamento, sporadicamente interrotto solo da qualche disco, si è presentato con un quartetto eccezionale, perfettamente in grado di sostenere ed interpretare le sue nuove idee, sviluppate in una sorta di work in progress concerto dopo concerto. Il repertorio presenta perlopiù sue composizioni di vecchia data, ma rese in maniera tutta diversa, a volte persino difficili da riconoscere, apparentemente non regolari, soprattutto quelle degli strumenti ritmici che supportano i suoi complessi assoli, sia al sassofono tenore che al soprano.
Sono assoli a tratti più dolenti di quelli che ci si ricordava: sempre tesi, asciutti anche se si aggrovigliano in un profluvio di note accartocciate, ma quando si asciugano in note singole o in semplici riff ripetuti portano a un senso di angoscia dolorosa. La ritmica è fondamentale nella riuscita di questa relativamente nuova proposta: fuori dai canoni tradizionali, con un continuo insinuarsi nelle linee melodiche inventate da Shorter, le due autentiche stars che portano i nomi del pianista Danilo Perez e del contrabbassista John Patitucci hanno rinunciato agli accordi di sostegno regolari per un accompagnamento praticamente astratto, modernissimo, il tutto ben sostenuto dalla forte, precisa ed insinuante batteria di Brian Blade.