Dalla ricerca condotta da Legambiente non emergono fortunatamente solo toni allarmistici per i consumatori toscani le cui tavole sono tra le più sicure d’Italia. I residui di pesticidi presenti nella frutta e verdura che finisce nei nostri piatti sono, infatti in diminuzione rispetto allo scorso anno merito dell’accuratezza delle analisi svolte dall’ ARPAT, l’Agenzia Regionale per l’Ambiente che si occupa di garantire la sicurezza alimentare, nonché grazie all’opera di monitoraggio e sensibilizzazione svolta dalle associazioni ambientaliste, quali Legambiente Toscana e da quelle che rappresentano i produttori biologici, entrambe da sempre in prima fila nella promozione di un’agricoltura libera da pesticidi e nel garantire ai cittadini un’ alimentazione sana.
Nel contesto nazionale le analisi condotte in tutte le principali città della Toscana rimangono esemplari e si viene a sapere che un peperone, regolare secondo la legge, contiene endosulfan (I, II, III) e endosulfan solfato; che un campione di lattuga è ricco di dimetoato, endosulfan (oltre il limite di legge), ometoato, procimidone e propizamide; una mela staiman di iprodion, tiabendazolo, azinfos metile, clorprofam (oltre il limite), difenilammina e che su ogni banana esaminata risultano residui associati di benomil, tiabendazolo, carbendazim.
I risultati di Pesticidi nel piatto 2004 non sono privi di contraddizioni. A cominciare dal sistema dei controlli. Molte perplessità suscitano le "soglie di accettabilità" dei residui previste dalla legge italiana, calcolate sulla loro pericolosità rispetto all’organismo umano adulto. Il campione di riferimento è sempre e solo un adulto medio di circa 60 chilogrammi. I risultati quindi non tengono conto della pericolosità degli effetti sulla salute dei bambini mentre, negli Usa secondo il National Research Council, le procedure per la valutazione del rischio andrebbero considerate sul modello di tolleranza di una bambina (per la maggiore sensibilità agli effetti sugli organi riproduttivi) nella fascia d’età più sensibile dal punto di vista dell’organismo, e cioè da zero anni alla pubertà.
Il National Research Council sostiene infatti che in assenza di prove contrarie si deve presupporre una maggiore tossicità nei neonati e nei bambini, applicando a tutti gli alimenti un ulteriore fattore di sicurezza. Teoria che mette d’accordo anche molti istituti di ricerca italiani. L’unico studio nazionale che ha preso in considerazione l’esposizione dei bambini ai pesticidi organofosforici (Aprea e collaboratori) ha valutato la presenza di metaboliti dei pesticidi organofosforici nelle urine di 195 bambini tra i 6 e i 7 anni di età della provincia di Siena.
I risultati di questo studio hanno mostrato, in accordo con gli studi statunitensi, che la concentrazione di metaboliti alchilfosfati era significativamente più elevata nei bambini rispetto a quanto riscontrato in un precedente campione di adulti che vivevano nella stessa zona, anche se, le concentrazioni più elevate erano associate più all’uso domestico degli organofosforici, e in particolare del clorphirifos (CPF), come insetticidi che alla dieta alimentare. Uno studio dell’Università di Seattle ha invece analizzato i residui di pesticidi e loro metaboliti in bambini di età pre-scolare e ha scoperto che i piccoli che consumano frutta e verdura biologica presentano una concentrazione di residui sei volte più bassa dei coetanei che consumano prodotti convenzionali.
"La nostra legislazione - sottolinea Piero Baronti, presidente di Legambiente Toscana - è vecchia di oltre 30 anni. Continuano a non esistere limiti di legge alla compresenza di principi attivi negli alimenti. Nella più completa ignoranza del principio di precauzione, dunque, oltre a consentire l’impiego di sostanze come per esempio il captan, il dimetoato, il metidation o il procimidone e il vinclozolin, tutte indicate dall’Epa (Environmental protection agency) come possibili cancerogeni, la nostra legge non tiene minimamente conto dei rischi legati alla compresenza di più sostanze nella frutta e nella verdura.
Gli effetti sulla salute umana della miscela di pesticidi impiegati in agricoltura rimangono un’incognita contro la quale non è prevista tutela. Non si capisce perché per esempio, per il multiresiduo la normativa europea prevede un limite di concentrazione nelle acque potabili e questo limite non esiste per gli alimenti". "Per fortuna la crescita culturale degli agricoltori nel nostro Paese – continua Baronti - negli ultimi anni è servita a ottenere una forma di autoriduzione significativa nell’uso della chimica in agricoltura e infatti oggi i rischi per i cittadini provengono molto spesso da prodotti importati dall’estero, ma i buchi nella legislazione italiana continuano a permettere pratiche che andrebbero invece vietate"
E’ il caso dei rischi associati all'impiego di fungicidi, e in particolare dei fungicidi ditiocarbammati (ethylene-bis-dithiocarbamates, EBDC), tipo Mancozeb e Maneb Ora, in Italia, nell'area di produzione del prosecco di Valdobbiadene il Mancozeb viene distribuito sui vigneti direttamente dagli elicotteri.
E tutto ciò in aree fortemente abitate.
Se per la nostra regione le cose vanno meglio, il quadro generale italiano dunque è tutt’altro che rassicurante e tenendo presente le crescente difficoltà nel rintracciare la provenienza dei prodotti che ci finiscono nel piatto, in questo caso non è bene fare regionalismi, come continua a spiegare Baronti: " La metodologia utilizzata dalle varie Arpa italiane per analizzare gli alimenti e garantirne la salubrità varia da un capo all’altro della stivale e questo non è certo una garanzia.
La normativa italiana si deve conformare a quella europea introducendo ulteriori garazie per il consumatore – continua Baronti – ed il primo passo è la costituzione dell’Agenzia per la Sicurezza Alimentare italiana che, come ormai avviene in molti altri paesi d’Europa, conformi la metodologia d’analisi e di certificazione di tutte le diverse ARPA italiane."
Dal dossier di Legambiente tra gli alimenti più sicuri che finiscono nei piatti dei consumatori toscani ci sono le patate, i cereali ed i legumi, mentre in genere la frutta risulta più a rischio, poiché circa il 40% dei pesticidi sono sistemici e cioè non eliminabili semplicemente togliendo la buccia o lavando bene l’alimento (residui citotropici).
A tutt’oggi dunque l’unica sicurezza rimane l’agricoltura libera dai pesticidi "Il biologico resta il marchio più sicuro per riconoscere la sicurezza alimentare – spiega Baronti – , oltre che l’affidarsi al rapporto fiduciario che s’instaura con il rivenditore o alla garanzia offerta da certe grandi distribuzioni quali la COOP, che accetta di mettere in vendita sui propri scaffali solo prodotti che si mantengano sotto la metà del limite di concentrazione consentito per legge" Anche sulla questione dei limiti dei residui di pesticidi consentiti per legge, Legambiente bacchetta : "Il Ministro Alemanno dovrebbe darsi tanto da fare: per prima cosa dovrebbe chiamare a raccolta le varie Arpa italiane per conformarne le metodologie d’ analisi ed estendendo gli esami anche ai prodotti biologici, come già fa la virtuosa Agenzia toscana.
Poi dovrebbe inoltre ampliare la gamma dei pesticidi considerati cancerogeni e quindi abbassare il limite di residui consentito per legge negli alimenti. Fortunatamente per la Toscana – continua Baronti - L’Arpat ha effettuato un numero di controlli superiore di 3-4 volte quelli stabiliti dalle normative nazionali, ma questa metodologia non dovrebbe essere lasciata alla discrezione delle singole agenzie."
Il dossier di Legambiente sui pesticidi si è basato sulle analisi effettuate dell’Arpat e dalle ASL ed hanno interessato vari tipi di alimenti di origine vegetale: la frutta, gli ortaggi, i cereali, il vino, l’olio, i succhi di frutta, ecc.
Il numero di prodotti per i quali sono stati rilevati livelli irregolari (superiori ai limiti di legge) di residui di fitofarmaci sono molto contenuti nell’ordine dell’1-1,5%, in linea con il dato nazionale e nettamente inferiore a quello europeo (introno al 4%)."Si può affermare tranquillamente che la Toscana è una delle regioni nelle quali le indagini sui pesticidi sono effettuate in modo più approfondito, - dichiara il Dott. Alessandro Franchi, del dipartimento Arpat di Firenze - in quanto nei laboratori si ricerca un numero maggiore e più aggiornato di sostanze attive in linea con quanto accade in Europa.
Sono circa 1200 campioni di alimenti analizzati nel corso del 2003 per la ricerca di residui di prodotti fitosanitari (fitofarmaci meno dell’1% quelli irregolari rispetto ai limite di legge, un impegno per tutelare la salute dei consumatori che potrebbe ancora migliorare con maggior coordinamento fra le strutture interessate e introducendo metodologie più flessibili e mirate sulla scorta delle esperienze europee. - Anche per quanto riguarda il rilevamento dei campioni con residui (entro i limiti di legge) l’andamento è tendenzialmente in calo), – continua Franchi - ed anche in questo caso su livelli analoghi a quelli rilevati a livello nazionale ed europeo.
Peraltro si auspica che possa agire positivamente la nuova normativa che prevede la riduzione del fitofarmaci autorizzati da circa 500 a meno della metà." – conclude Franchi dell’Arpat.
Il numero di prodotti per i quali Arpat ha rilevato livelli irregolari (superiori ai limiti cautelativi di legge) di residui di fitofarmaci è molto contenuto: nell’ordine dell’1-1,5%, in linea con il dato nazionale e nettamente inferiore a quello europeo (intorno al 4%).
Si può affermare tranquillamente che la Toscana è una delle regioni nelle quali queste indagini sono effettuate in modo più approfondito, ad esempio in quanto nei laboratori si ricerca un
numero maggiore e più aggiornato di sostanze attive in linea con quanto accade in Europa.
Anche per quanto riguarda il rilevamento dei campioni con residui (entro i limiti di legge) l’andamento è tendenzialmente in calo ed anche in questo caso su livelli analoghi a quelli rilevati
a livello nazionale ed europeo.
Peraltro si auspica che possa agire positivamente la nuova normativa che prevede la riduzione del numero di sostanze attive autorizzate fitofarmaci)
da circa 500 a meno della metà.
Arpat, attraverso i laboratori dei Dipartimenti provinciali di Arezzo, Firenze, Livorno e Lucca esegue analisi chimiche, microbiologiche e fisiche di alimenti e bevande.
Nel rispetto delle norme comunitarie, tutti questi laboratori hanno conseguito l’accreditamento da parte del Sinal (Sistema Nazionale per l'Accreditamento dei Laboratori di prova) e dell’Istituto Superiore di Sanità (Organismo Riconoscimento Laboratori) delle prove relative al controllo dei prodotti alimentari, come imposto dalla normativa, per garantire la trasparenza delle procedure e la qualità, l’accuratezza e la precisione dei risultati.
Fin dalla costituzione di Arpat, nel 1996, è stato
attivato in Toscana un programma di controllo dei residui di sostanze attive di prodotti fitosanitari nei prodotti alimentari di origine vegetale, al fine di verificare il rispetto delle concentrazioni massime ammesse fissate per decreto, in relazione ai rispettivi limiti tollerati.
Esperienze particolari sono state condotte, ad esempio, nel campo della ricerca delle diossine nei prodotti alimentari, per la rilevazione di IPA (idrocarburi policiclici aromatici) e di OGM (organismi geneticamente modificati).
Vista l’importanza dell’olio extravergine di oliva nella tradizione e nell’economia regionale, è stato istituito un Comitato di assaggio, accreditato dal Ministero delle politiche agricole
e forestali, per l’analisi sensoriale di questo prodotto, che completa i tutela della qualità dell’olio extravergine toscano.
Per poter fare di più rispetto alla situazione attuale è necessario promuovere azioni innovative in due direzioni:
• un maggior coordinamento fra i troppi enti che si occupano di controlli alimentari, con una inevitabile dispersione di energie;
• la sperimentazione di forme di monitoraggio degli alimenti in modo più flessibile e informale (consumatore “occulto”), come accade in altri paesi europei, per orientare campagne specifiche di accertamenti più mirati.