di Lucia De Sanctis
Siamo prossimi alle ricorrenze delle stragi di Capaci e Via D’Amelio, dopo trentatré anni lei con quale spirito le vivrà?
Con lo spirito di chi si è ormai convinto che la verità con il passare degli anni sia sempre meno prossima ad arrivare. Si sono banalizzati i rapporti tra mafia e apparati deviati dello Stato, ci si è focalizzati su piste improbabili che invece di avvicinarci alla giustizia ci hanno allontanato sempre di più dalla stessa.
Come sta lavorando, secondo lei, il Governo in carica nel contrasto alle mafie?
Mi sembra che dopo un inizio incoraggiante sul 41 bis il tutto si sia fermato inesorabilmente. Non ho visto (parlo da esperto) azioni specifiche nelle successive attività di normazione nella direzione della lotta alle mafie. Aggiungo che l’abolizione dell’abuso d’ufficio, le modifiche al delitto di traffico d’influenze e altre riforme nel campo dei reati dei “colletti bianchi” abbiano, di fatto, inciso negativamente nel contrasto delle nuove mafie poiché queste hanno fatto della corruzione e dei vari delitti contro la pubblica amministrazione, il grimaldello per infiltrarsi nell’economia e nella finanza.
Che cosa pensa della cosiddetta Riforma Nordio?
Molte ombre e pochissime luci. Nel complesso la giudico negativa poiché ho sempre pensato che occorresse intervenire direttamente sulle lungaggini del processo penale. È questo il vero problema ed è quello che incide direttamente sulla fiducia dei cittadini nella giustizia.
Del “Decreto Sicurezza” che ormai è legge cosa ne pensa?
Chiedere più sicurezza e più tutele non significa reprimere il dissenso. Credo si dovrebbe concentrare l’azione del Governo per punire più efficacemente la corruzione, l’evasione fiscale e la criminalità organizzata. Mi preoccupa molto anche il modo con cui è stato scritto. Emergeranno non pochi problemi interpretativi e applicativi. Vedremo in futuro cosa dirà la Corte Costituzionale poiché credo che presto saranno sollevate questioni di costituzionalità su parti del provvedimento legislativo che a me paiono palesemente incostituzionali.
Possibile che su questi temi di cui ha trattato lei i cittadini siano sempre più immobili e meno motivati? Perché accade questo?
Di mafia si parla sempre di meno e a questa distonia ha contribuito non poco la nuova pelle delle mafie moderne sempre più invisibili e meno violente anche se in realtà sicuramente più letali delle precedenti. Di mafie si parla solo nelle ricorrenze per montare e smontare in fretta il palco dopo le consuete passerelle sempre più scevre da contenuti concretamente costruttivi.
Nell’attuale panorama governativo lei vede qualche forza politica incisiva nel contrasto alle mafie?
No. Onestamente non ne vedo. Chi oggi è all’opposizione anni addietro era al Governo e non mi sembra abbia portato avanti in questo settore un’azione di contrasto determinata ed efficace come sarebbe stato necessario.
Cosa si sentirebbe di suggerire a chi governa e a chi è all’opposizione per uscire da questo stallo in cui siamo caduti?
Di prendere esempio da Giovanni Falcone (dichiaratamente di sinistra) e da Paolo Borsellino (dichiaratamente di destra) che insieme sono stati in grado di infliggere a Cosa Nostra colpi mortali che ancora oggi fungono da esempio per tutto il mondo.
Noi tutti, intesi come società civile, cosa possiamo fare?
Come diceva Giovanni Falcone basterebbe semplicemente che ognuno di noi facesse il proprio dovere. Dobbiamo superare questa insopportabile indifferenza e cominciare a far capire alla gente quanto sia importante che ognuno di noi faccia la sua parte. Voltare la testa dall’altra parte significa darla vinta ai criminali.
Ci lascia con un messaggio di speranza?
La parola “speranza” a me non piace. La penso come il grande regista Mario Monicelli. Lui sosteneva, ed io condivido, che la speranza sia un grande inganno creato dalla società moderna per paralizzare ogni moto rivoluzionario e far accettare passivamente le ingiustizie con l'illusione di un domani migliore che non arriverà mai. Il mio messaggio dunque non è di speranza ma di azione. Chiudo con una frase di Martin Luther King pienamente condivisa: “Le nostre vite cominciano a finire il giorno in cui stiamo zitti di fronte alle cose che contano”.
Vincenzo Musacchio, criminologo, docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro ordinario dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni Ottanta.