I quesiti referendari depositati presso la Corte di Cassazione sono sei e toccano diversi aspetti dell’ordinamento giudiziario vigente. Li analizziamo singolarmente con l’ausilio del prof. Vincenzo Musacchio, giurista, criminologo e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Oltre ad essere ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra, nella sua carriera, il giurista è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia nella seconda metà degli anni ’80.
Il primo quesito riguarda la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura, con il suo contenuto cosa si vuole cambiare?
Il quesito ha lo scopo di modificare le candidature e le nomine dei magistrati che fanno parte del CSM. In sostanza si vuole abrogare l’obbligo, per un magistrato che voglia essere eletto, di trovare da venticinque a cinquanta firme per presentare la candidatura. Secondo i promotori, infatti, l’attuale sistema imporrebbe a coloro che si vogliano candidare di dover ottenere la benedizione delle correnti o, il più delle volte, di essere a esse iscritti. Diciamo un quesito pressoché inutile e superfluo che non cambierebbe nulla dell’attuale assetto correntizio.
Il secondo quesito tocca la responsabilità civile dei magistrati, cosa ne pensa lei nel merito?
Oggi la responsabilità civile dei magistrati è regolata dalla legge del 13 aprile 1988 n. 117 (c.d. legge Vassalli), poi modificata nel 2015, che nella sostanza non sancisce una responsabilità diretta del magistrato, bensì dello Stato. Conseguentemente, qualora un soggetto ritenga di aver subito un danno, può agire solo nei confronti dello Stato, salvo l’eccezione prevista dall’art. 13, comma 1 della legge Vassalli, ai sensi del quale se il magistrato ha causato un danno commettendo un reato, è possibile procedere con l’azione civile per il risarcimento nei confronti del magistrato e dello Stato.
Il risarcimento è comunque sempre a carico dello Stato, nel senso che non è possibile fare causa solo e direttamente al magistrato. Per sommi capi questa è la regolamentazione attuale. I promotori del quesito ritengono che il magistrato debba rispondere personalmente - e non “tramite” lo Stato - per i danni causati alle parti, invocando a sostegno di questa posizione l’art. 28 Cost. ai sensi del quale “i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti”.
Non condivido il quesito referendario, ma sono a favore di una modifica dell’attuale legislazione. Si potrebbe rivedere, ad esempio, la modalità di accertamento della responsabilità civile del magistrato e la composizione dell’organo che dovrà decidere. Per evitare che i magistrati sbaglino, tuttavia, la cura migliore resta la selezione e la valutazione seria delle loro attitudini professionali.
Il terzo quesito riguarda il procedimento di valutazione dei magistrati. Su questo ci sarebbe da discutere parecchio, non crede?
Chi è del mestiere sa benissimo che la valutazione quadriennale del magistrato è esperita dal CSM in conformità a un parere motivato del Consiglio giudiziario del distretto in cui si presta servizio. Quest’ultimo parere non è vincolante per il Consiglio Superiore, che formula in maniera autonoma il giudizio finale (positivo, non positivo o negativo). Prima della decisione, il Consiglio può, se necessario, compiere nuovi approfondimenti. Su questo quesito la critica più accettabile e quindi condivisibile è senza dubbio quella riguardante il fatto che la procedura sia del tutto “interna”, nel senso che a decidere siano solo soggetti appartenenti alla magistratura.
È evidente una sovrapposizione sconveniente tra “valutatore” e “valutato”. Questo, di fatto, potrebbe rendere poco credibili le valutazioni e favorire non di rado la logica corporativa. Cambiare la modalità di valutazione non sarebbe un male se fatta con spirito costruttivo e non di vendette corporativistiche.
Il quarto quesito riguarda la separazione delle carriere dei magistrati. Su questo lei si è più volte espresso, lo illustra brevemente?
Come ha appena precisato è nota la mia posizione sul tema: sono favorevole alla separazione delle carriere. Non da ora ma dai tempi dell’entrata in vigore del codice Vassalli che peraltro fu mio maestro e con il quale discussi a lungo proprio sul tema. Come Giovanni Falcone, sono favorevole alla separazione delle carriere poiché ritengo che ogni processo si debba svolgere concretamente nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. Non ritengo sia giusto che i giudici facciano corpo unico con le procure.
Questa separazione porterà il giudice ad avere una maggiore autonomia, quella che poi sancisce la nostra Carta Costituzionale. Detta in maniera più elementare: l’accusa deve provare la colpevolezza dell’imputato; la difesa, deve provare la non colpevolezza dell’imputato; il giudice, valuta e decide in maniera imparziale. L’anomalia che andrebbe eliminata, in conformità a quanto poco prima spiegato, è che il giudice per essere imparziale non possa far parte della stessa compagine del pubblico ministero.
Il quinto quesito referendario riguarda gli eventuali abusi dell’uso delle misure cautelari. Tema molto delicato e problematico, cosa ne pensa lei nel merito?
La materia delle misure cautelari, in effetti, è particolarmente complicata. Più che di abuso parlerei di eccessivo ricorso alle misure cautelari privative della libertà personale. Le misure cautelari detentive e patrimoniali sono e dovrebbero essere l’extrema ratio, di un sistema, ma negli anni si sono trasformate spesso in un giudizio anticipatorio della sanzione penale. È proprio quest’aspetto che non condivido e che rappresenta una grave violazione del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza. Su questo tema ovviamente ci sarebbe bisogno di un maggior approfondimento che in tal contesto purtroppo non è possibile fare.
Il sesto e ultimo quesito riguarda l’abrogazione del decreto legislativo del 31 dicembre 2012 n. 235 in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190. Materia ulteriormente delicata, la sua opinione?
Personalmente condivido totalmente la normativa che prevede incandidabilità, ineleggibilità e decadenza automatica per i parlamentari, per i rappresentanti di governo, per i consiglieri regionali, per i sindaci e per gli amministratori locali in caso di condanna. Concordo in pieno con l’orientamento della Corte Costituzionale quando afferma, in una recente pronuncia del 2021, che la norma censurata, con la previsione di determinati requisiti di onorabilità degli eletti, miri a garantire l’integrità del processo democratico e la trasparenza e la tutela dell’immagine dell’amministrazione.
In conclusione, cosa cambierebbe se dovessero passare tutti o parte dei quesiti referendari?
La risposta è indubbiamente la più difficile rispetto a tutte le altre precedenti. Dipende cosa passa e che effetto poi avrà nella pratica attuazione. In Italia siamo abituati a vedere molti referendum passati con votazioni bulgare e poi vanificati nella pratica attuazione (penso al referendum sull’acqua pubblica, ad esempio). Mi auguro soltanto che qualsiasi cosa passi o sia bocciata, sia unanimemente riconosciuta, senza pregiudizio alcuno, poiché un referendum è e resta sempre un esercizio di democrazia e non una riproposizione dell’inquisizione medievale. Con esso si pone in evidenza un tema degno della valutazione di chi detiene l’esercizio della sovranità popolare. Per questo invito tutti ad andare a votare e a esprimere liberamente la propria opinione secondo scienza e coscienza.