Quel mattino di gennaio nell'Aula Nervi

L'incontro con Bergoglio del gruppo fiorentino della Caritas: ricordo di un partecipante

Paolo
Paolo Pellegrini
21 Aprile 2025 21:45
Quel mattino di gennaio nell'Aula Nervi

C'ero anch'io, quella mattina dell'8 gennaio, in aula Nervi con i cento o giù di lì volontari, operatori e ospiti delle strutture Caritas di Firenze. Uno dei primi pellegrinaggi in assoluto dell'anno giubilare, il Giubileo della Speranza cominciato appunto qualche giorno prima: volontario di qualche opera della parrocchia di San Salvi, ero riuscito a iscrivermi insieme a mia moglie. Una bella esperienza, quando arrivi all'autunno della vita, andare in pellegrinaggio in San Pietro sapendo che avresti incontrato il Papa di lì a poco, a braccetto con il vescovo Gherardo, e anche lui era una novità assoluta per me: da cronista, prima a Toscana Oggi poi alla Nazione, avevo seguito da vicino Piovanelli (qualche volta avevamo anche pranzato insieme), poi Antonelli - "macché eminenza, chiamami don Ennio", mi sorrise il giorno della sua presentazione in arcivescovado - e infine Betori, che prendevo spesso in giro per la sua fede, ehm, bianconera.

Ma con un Papa è un'altra emozione. E dire che mi era successa una cosa incredibile con Wojtyla, un giorno di ottobre del 1986. Ero corrispondente dell'Osservatore Romano, posto che mi aveva lasciato il caro amico compiantissimo e indimenticabile Massimo Lucchesi, e come tale mi ero intrufolato nel seguito del Papa in tutti gli spostamenti. E quando salì da solo al museo di San Marco, all'Annunciazione dell'Angelico, in fondo alle scale ad aspettarlo mi trovai da solo. E da solo mi incrociò, e ci stringemmo la mano, io imbarazzatissimo lui sorridente e accogliente.

Accogliente. Ecco come ci aspettavamo Francesco quella mattina di di gennaio in Aula Nervi. E così fu. Eravamo partiti il giorno prima da Firenze, il primo dei due pullman, le solite cosze delle gite di gruppo di tono religioso, preghiere, prove dei canti, io promosso sul campo da don Fabio "maestro del coro", chiacchiere, un paio di amici ritrovati con piacere e stupore, insomma le solite cose. Poi a Roma l'incontro con l'arcivescovo Gherardo e la sua semplicità luminosa, la sua chiarezza profonda, e con il cardinale Ernest Simoni, un altro gigante: la sera, dopo cena, il suo assistente, il mitico Vieri Lascialfari - una password, negli ambienti curiali romani e non solo - ci aveva narrato tutti gli orrori dele torture subito da quest'uomo che a 96 anni suonati porta ancora in giro intatta la sua fede incrollabile.

Poi, la mattina, l'udienza. L'arrivo del secondo pullman, gli operatori, altri volontari, tanti ospiti delle strutture Caritas di Firenze. Eravamo entrati secondo protocollo, code, riconoscimenti, gli sguardi severi della sicurezza, la scoperta dei luoghi, casa Santa Marta, "è lì che abita Lui", l'emozione di quel luogo immenso, quasi sacro. In aula, sorpresa, incontro un altro gruppo di amici: una delegazione dell'Osservatorio Permanente Giovani-Editori, abbracci e strette di mano, curioso, con loro avevo incrociato in Vaticano anni prima Giovanni Paolo II.

Entra Francesco, in sedia a rotelle. Non stava già bene, nessuno certo avrebbe presagito in quel momento il rapido rotolare delle cose, ma la voce e la tosse tradivano il disagio polmonare. Però la lettura della catechesi è vivace, proprio come quell'altra volta - marzo 2023 - quando ero stato all'udienza in piazza San Pietro con un gruppetto di parrocchiani di San Salvi, persi nell'immensità della piazza ma vicini alla papamobile al passaggio là in mezzo.

Minuti di catechesi dedicati all'infanzia sfruttata, "i figli sono un dono di Dio, purtroppo questo dono non sempre è trattato con rispetto", e poi il monito, "un bambino che non sorride e che non sogna non potrà conoscere né far germogliare i suoi talenti", parole come pietre per nl'ipocrisia del mondo, come non capirlo quando se la prendeva con chi cura di più il cagnolino o il micino che i bambini? Si diverte, Francesco, come tutta l'aula all'esibizione di un gruppo di circensi, ammira stupito le esibizioni di giocolieri e saltimbanchi davvero bravi, se non ricordo male erano africani, c'era anche un simpaticissimo finto elefante.

Poi il nostro momento. Portati da un lato, raggruppati, ecco il Papa. L'arcivescovo Gherardo fa le presentazioni, Marzio Mori, direttore della Caritas, e altri operatori gli donano un piatto in ceramica che la sera prima avevamo firmato tutti col pennarello indelebile,e gliene fa firmare un altro paio, uno destinato a essere conservato in arcivescovado, l'altro - e forse ora più che mai - a girare per la diocesi a perenne ricordo. Grande emozione nel gruppo, chi è più vicino riesci a scambiare qualche battuta, c'è confusione e non si capisce, certo avresti voluto fermare il tempo, chiacchierarci uno a uno, Francesco era in carrozzella ma simpatico e gioviale, sorridente, e comunque ci parla , il suo è un messaggio intenso e profondo, esorta tutti a essere testimoni concreti di accoglienza, misericordia e carità, invitando la comunità a vivere il messaggio evangelico con autenticità e generosità.

Emozione grande e palpabile, ti senti come Pietro sul Tabor e vorresti "fare tre capanne, una per Te, una per Mosè e una per Elia" ma il tempo è tiranno, vola via, è l'ora della foto di gruppo, è l'ora di separarsi.

Le emozioni non finiranno, si va in San Pietro per la messa, celebrerà monsignor Gherardo, che prima di entrare ci ferma e ci parla: una pagina di Giovanni, poche parole illuminate, chiare e profonde, poi dentro, come unpretino qualsiasi, si mette a distribuire a ciascuno di noi il rosario "del Papa", gli chiedo se ce lo guida lui il rosario, accetta e ci porta per recitarlo alla tomba di San Giovanni XXIII, chissà se è un caso.

Si riparte, in viaggio non si fa che commentare tra una pennica e un sonnecchio. Ma il cuore è gonfio di emozione. Indimenticabile, caro Francesco. 

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