FIRENZE- Nel 2030 sarà trascorso giusto un secolo da quando nel 1930 l’amministrazione fascista decise di rianimare una antica tradizione fiorentina, quella del gioco del calcio. Prima timidamente, poi sempre con maggiore coinvolgimento, si riaccese in città una passione sopita per secoli, dopo l’estinzione della famiglia Medici. A coronamento di 100 anni di “nuovo calcio fiorentino” una riflessione sul significato di questa esperienza in bilico tra rievocazione folclorica e sport-spettacolo sarebbe utile e opportuna.
In questa ottica “Il calcio storico fiorentino, la rievocazione tra patrimonio e identità”, il libro di Dario Nardini, fresco di stampa da Leo S. Olschki editore, è un ottimo punto di partenza. L’autore è dottore di ricerca in Antropologia culturale e sociale all’Università degli Studi di Milano-Bicocca e assegnista nel Dipartimento di Scienze sociali, politiche e cognitive all’Università di Siena. Basato su una ricerca etnografica finanziata dall’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale, il libro ricostruisce la storia e gli aspetti di interesse demo-etnografico e antropologico della rievocazione, analizzandoli alla luce della riflessione contemporanea su temi quali il patrimonio, la tradizione, le identità territoriali e la relazione tra la città e i suoi abitanti.
Nardini smette i panni della propria fiorentinità e con l’occhio del ricercatore scientifico ci offre una ricostruzione storiografica della vicenda di questo gioco nel corso dei secoli. Senza retorica, senza sensazionalismo e con l’unico intento di raggiungere una definizione obiettiva e spassionata del fenomeno. E’ proprio quello che serve a Firenze a compimento di un ciclo, che forse un giorno potremo definire pionieristico.
Approfondimenti
A distanza di cento anni non c’è più l’imbarazzo di ammettere che il Calcio fiorentino non può vantare una continuità storica come il Palio di Siena. La palla era stata la passione di nobili e plebei sotto la corte della famiglia Medici. Ma quegli “stranieri” dei Lorena avevano smesso di alimentarla e la tradizione si era perduta totalmente. Sicché gli appassionati di storia locale impiegarono decenni a cavallo tra XIX e XX secolo per convincere la città che valeva la pena riprovarci.
E non c’è nemmeno da vergognarsi che il gioco sia ricominciato per iniziativa di un podestà fascista con il sostegno del Minculpop del gerarca fiorentino Pavolini. Nel suo libro di Nardini certifica quanto il ritorno della pugna sportiva in piazza fosse il portato di una rinnovata attenzione dell’opinione pubblica cittadina, indipendentemente dal colore dei governanti e ben da prima della marcia su Roma.
Dunque che fare di questa passione locale, sopravvissuta alla guerra e agli stenti del dopoguerra? Da un quarto di secolo il calcio in livrea fa battere il cuore a tantissimi fiorentini. Quando una decina di anni fa inaugurammo una rubrica tematica permanente (cioè a dire che pubblica notizie tutto l’anno), Nove da Firenze era una voce isolata nell’informazione cittadina. Oggi tutta la stampa è attenta al calcio storico, le dirette televisive degli incontri sono le trasmissioni locali più seguite a Firenze. Ma sopratutto l’amministrazione comunale è riuscita a mettere la museruola agli istinti autodistruttivi che si aggiravano nel sabbione e oggi è finalmente possibile garantire lo svolgimento civile del torneo.
E’ arrivato dunque il momento di guardare al futuro. Nardini nel suo libro ci spiega che la storia del calcio storico è fatta di interruzioni, ricostruzioni, interpretazioni e cambiamenti, a partire dal fatto che il torneo a quattro squadre si gioca soltanto dagli anni ‘50 del secolo scorso e che il suo “stadio” non è sempre stata la piazza Santa Croce, dato che le partite sono state organizzate un po’ ovunque in città.
L’orientamento della nostra testata è noto. Vediamo in questa rievocazione enormi potenziali sportivi e culturali, turistici e televisivi. Scriviamo da tempo che la piazza storica sta stretta alla richiesta del pubblico, che potrebbe ormai riempire platee assai più ampie. E preso atto che i documentari televisivi raccolgono audience di tutto rilievo anche sui network globali, non possiamo non constatare che un torneo di sole tre partite da 50 minuti è un prodotto sportivo difficile da vendere sul mercato della tv commerciale.
Cosa sogniamo? Una città che riesca a dedicare al calcio storico maggiori energie, uno stadio più grande, un museo degno di questo nome e magari un campo scuola dove far cimentare lo stuolo di giovani turisti stranieri che morirebbero dalla voglia di mettere i piedi nel sabbione. E grazie al libro di Nardini non abbiamo nemmeno paura ad affermare che il torneo a quattro squadre non è mai stato un dogma e che non si bestemmia ad immaginarne uno differente. Viva Fiorenza!