Salvò centinaia di ebrei fiorentini e non solo dalla persecuzione nazista, esplosa dopo l’occupazione dell’Italia nel settembre 1943. Ed ora Israele gli consegna la medaglia alla memoria di ‘Giusto fra le Nazioni’. È il cardinale arcivescovo Elia dalla Costa, scomparso nel 1961 dopo aver retto, dal 1933 fino all’anno della sua morte, la diocesi di Firenze. Questa mattina, nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, l’ ambasciatore di Israele presso la Santa Sede Zion Evrony lo ha insignito alla memoria con la medaglia dei Giusti consegnata nelle mani di un nipote che porta il suo stesso nome.
Alla cerimonia erano presenti, tra gli altri, l’assessora all’educazione Cristina Giachi, il cardinale arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori, la presidente della comunità ebraica di Firenze Sara Cividalli e il rabbino di Firenze Rav YosefLevi. «Personaggi come Elia della Costa sono veri e propri fari che ci indicano la strada da seguire – ha sottolineato l’assessora Giachi nel suo saluto – il suo nome è scolpito nel cuore della memoria dolorosa della Shoa ed è scolpito come un punto di luce, uno dei tanti, che costellano il ‘Muro dei Giusti’.
Questo ci riempie di orgoglio ma anche di responsabilità, soprattutto nei confronti dei più giovani. Dobbiamo essere all’altezza di figure come quella del cardinale Dalla Costa che hanno reso grande la nostra città». «Sono onorata e grata – ha proseguito – che Firenze possa essere protagonista con una storia luminosa come quella di Elia della Costa, una storia luminosa nel buio dei valori che, in quegli anni, attraversava tutto il nostro continente. Grazie a uomini come lui, al loro coraggio e alla loro generosità è stato possibile non lasciare l’ultima parola al male, alla furia gratuita cieca che pure ci aveva sovrastati.
Il suo esempio ci indica una strada chiara da seguire». Il cardinale Dalla Costa organizzò una vera e propria rete clandestina di salvataggio della quale faceva parte anche Gino Bartali, il fuoriclasse che in quegli anni faceva da staffetta tra Firenze e Assisi, dove una tipografia stampava documenti falsi che nascondeva nella canna della bicicletta. Dopo il rastrellamento nel ghetto di Roma, il 16 ottobre del 1943, e la deportazione di 1.021 ebrei nei campi di sterminio (tornarono in 17), il vice del capitano Theodor Dannecker, Alvin Eisenkolb, aveva organizzato altri due rastrellamenti a Firenze, il 6 e il 26 novembre del ’43.
Fu allora che il cardinale Dalla Costa incaricò il parroco di Varlungo, don Leto Casini, e il padre domenicano Cipriano Ricotti di coadiuvare il Comitato di assistenza ebraico (che agiva da terminale degli aiuti internazionali forniti dalla ‘Delegazione per l’assistenza degli emigranti ebrei, la Delasem’) per mettere al sicuro i profughi ebrei nei vari monasteri e istituti religiosi della diocesi. Dell’organizzazione, tra gli altri, facevano parte anche monsignor Giacomo Meneghello, Gino Bartali e, dalla parte ebraica, Raffaele Cantoni, Giuliano Treves e Matilde Cassin.
A Firenze e dintorni, su ordine diretto dell’arcivescovo, si aprirono le porte di almeno ventuno conventi e istituti religiosi, più varie le parrocchie, per nascondere centinaia di ebrei braccati dai nazisti. (fn)