"Con il ritiro di Forza Italia e Berlusconi non c'è più un governo di larghe intese. Allora questo governo non può continuare ad andare avanti facendo finta che tutto sia rimasto uguale. Bisogna dare una svolta. Bisogna fare finalmente le cose che servono" lo scrive Matteo Renzi su Facebook e poi incolla sul proprio sito l'intervista di Alan Friedman pubblicata sul Corriere della Sera il 28 novembre 2013 Nel giorno della decadenza di Berlusconi, Matteo Renzi è nel suo ufficio a Firenze.
Quando salgo al piano nobile di Palazzo Vecchio e noto che, mentre siamo qui, a Roma stanno votando la decadenza, lui mi fa capire che non vuol parlare del passato ma soltanto del futuro. E anche del futuro molto prossimo per quanto riguarda il governo di Enrico Letta e Angelino Alfano. Inizio chiedendo a Renzi il significato della sua dichiarazione di qualche giorno fa a proposito di un’eventuale sua vittoria alle primarie del Pd l’8 dicembre, quella frase in cui ha detto «se vinciamo noi e il governo non fa quello che diciamo… finish». Renzi non esita: «Finish – mi spiega – significa che questo governo è nato in modo un po’ strano, è nato come un governo di larghe intese, tutti insieme per fare le riforme e arrivare alla guida del semestre europeo, dal i luglio a 31 dicembre del 2014.
Oggi il governo delle larghe intese è saltato e con il ritiro di Forza Italia e Berlusconi non c’è più un governo di larghe intese. Allora questo governo non può continuare ad andare avanti facendo finta che tutto sia rimasto uguale. Bisogna dare una svolta. Bisogna fare finalmente le cose che servono. E il Pd in questi mesi, in queste settimane è stato molto prudente, paziente, responsabile. Ok, siamo stati dei “good guys”, dei bravi ragazzi. Però adesso è il momento di chiedere che le cose si facciano, e quindi ci faremo sentire». Ma è possibile che un governo con una maggioranza più ristretta sia in grado di fare quelle riforme del mercato del lavoro e le altre riforme di vasta portata di cui il paese ha bisogno? «Sì – replica Renzi -, perché il Pd che è il partito più importante della coalizione ha queste idee in testa, e quindi se noi le abbiamo in testa le tireremo fuori». E se il governo non si mostra capace? «E sennò… finish?», chiedo al sindaco di Firenze, e lui ripete le mie parole in risposta: «Sennò … finish». Poi parliamo della legge di stabilità e chiedo se ritiene chesia una legge coraggiosa che potrebbe agganciare la ripresa e creare nuovi posti di lavoro.
Renzi mi dice che non sarà la legge di stabilità che produrrà nuovi posti di lavoro. «In Italia il modo per creare occupazione è rimuovere gli ostacoli alle imprese. È un po’ come il David di Michelangelo che lei trova qua a Firenze. Quando hanno chiesto a Michelangelo “Come hai fatto a fare il David?” lui ha risposto “è stato semplicissimo: il David c’era già. Ê bastato togliere il marmo in eccesso”. Allo stesso modo ci sono già le condizioni perché l’Italia torni a crescere: bisogna togliere burocrazia, oppressione fiscale e sistema della giustizia». «La legge di stabilità non va in questa direzione», spiega Renzi, dicendo che «è un semplice intervento di tenuta dei conti» mentre «la vera rivoluzione di cui abbiamo bisogno è una rivoluzione capillare e sistematica e ancora non è iniziata.
Speriamo di farla partire noi». Poi mi parla anche del bisogno di riscrivere e semplificare lo Statuto dei Lavoratori, che risale al 1970 e risulta troppa complicato. Va riscritto e semplificato, massimo 60-70 articoli invece degli attuali duemila, mi dice, semmai aggiungendo alcune protezioni per i giovani in termini di welfare, per chi è tagliato fuori dal mercato del lavoro. Chiedo a Renzi di rispondere a Gianni Cuperlo che lo accusa di essere «il volto buono della destra» e noto che ha già detto che «non possiamo essere neppure il volto peggiore della sinistra, quello che non ha fatto il conflitto di interesse e che ha mandato a casa Prodi». «La sinistra che hanno in mente loro è una sinistra che ha sempre perso.
Io credo che sia molto di sinistra scommettere sulle donne come stiamo facendo qua a Firenze, investire sugli asili nido, investire in cultura, start-up. Stiamo facendo molte cose che sono di sinistra, che sono l’investimento sul domani. C’è una parte della sinistra che vuole la sinistra vecchia maniera, la sinistra tutta legata al passato. Quella sinistra lì vogliamo sconfiggerla». E infine, anche se abbiamo parlato di tante altre cose, quando parliamo di come ridurre il debito e quanto le privatizzazioni siano utili per questa impresa, lui mi rassicura che «ridurre il debito è fondamentale ma dipende come si fa». E aggiunge: io credo che si debbano fare le cose con intelligenza.
Oggi se devo dare il 3% di Eni con un’operazione come quella che è stata immaginata, è un errore, non ha senso. E’ un’operazione, un maquillage finanziario che serve al governo per risolvere un problema di cassa». In Regione Toscana invece si consuma a distanza un diverbio tra Enrico Rossi ed Alberto Magnolfi (Presidente Gruppo regionale NCD): “Stupisce che un uomo delle Istituzioni come Rossi non colga il “dramma della Repubblica” che tutti gli italiani di buon senso hanno vissuto nella giornata di ieri.
Lascia poi sgomenti la mancanza di senso della misura e di umanità che fa venir meno il rispetto umano e politico per l’avversario e per i milioni di italiani che in lui si sono riconosciuti ed ancora si riconoscono. Si è giunti al voto di decadenza attraverso una serie di forzature interpretative, di ignoranza della prassi parlamentare e di sommario giustizialismo, sino a negare la garanzia del voto segreto. Abbiamo sentito, in tutti questi anni, sin troppe parole di odio, che hanno scavato un solco tra gli italiani.
Una miscela pericolosa che irresponsabilmente si continua - da molte parti - ad alimentare e che, invece, occorrerebbe riportare sul terreno del confronto rispettoso e civile tra avversari che mai dovrebbero considerarsi nemici. Anche da questa profonda motivazione è nata la scelta di chi ha deciso di dar vita al progetto politico del Nuovo Centrodestra.” Enrico Rossi aveva detto: "Ieri è stata una buona giornata per la Repubblica e per le istituzioni. Il Presidente Napolitano, Letta e il PD non hanno ceduto a mesi di ricatti, minacce e pressioni.
La supremazia della legge è stata fatta valere, hanno vinto lo Stato di diritto e la Costituzione. Un senatore della Repubblica, Silvio Berlusconi, con una sentenza passata in giudicato per reati fiscali gravi contro la collettività, in applicazione di una legge dello Stato, è stato messo fuori dal Parlamento. La legge è uguale per tutti. Ma ora inizia una fase altrettanto difficile e densa di rischi per la Repubblica. I toni, le dichiarazioni eversive, gli appelli alla rivolta contro "il colpo di Stato" che abbiamo visto e sentito nelle manifestazioni di ieri, fuori dal Parlamento, devono preoccupare. Questo spinta estremistica, populistica, antiparlamentare può sommarsi a quella di Grillo e preparare una miscela esplosiva da gettare sulla crisi economica, strumentalizzando la sofferenza del Paese, anche in vista delle elezioni europee.
Il governo Letta e il PD hanno davvero una responsabilità enorme. Oggi più che mai è necessario e urgente fare le riforme, a cominciare da quella elettorale, ridistribuire la ricchezza a favore dei ceti più deboli e colpiti dalla crisi, ridurre i costi della politica e rendere più snelle le istituzioni, agganciare la ripresa, predisporre un piano straordinario per il lavoro. Solo se saremo uniti potremo farcela. Il bisogno di tempo del nuovo centrodestra di Alfano per potersi strutturare, può favorire questo impegno del PD e del governo Letta.
Anche la sinistra di SEL, con Vendola, dovrebbe considerare questo cambio di prospettiva, così come quei senatori di 5 stelle che mostrano in certi casi di ragionare con la propria testa. Il Paese ha bisogno di riforme e stabilità. Ecco la sfida. Tertium non datur. Perché le elezioni anticipate, in queste condizioni, rischiano di alimentare la spinta antipolitica e populista già molto forte e di riportare il Paese sull' orlo del baratro politico e economico; con ancora una volta l' impossibilità di costruire maggioranze politiche stabili e omogenee e con i mercati che ci puniscono e l' Europa che riprende a darci compiti per casa.
Insomma il PD ha davvero davanti a sé la sfida decisiva della sua storia. Se la vincerà potremo davvero proporci nel 2015, a testa alta, come l' alternativa democratica e di sinistra per la guida del Paese, per continuare e approfondire il programma di riforme, giustizia e modernizzazione. Alla luce di tutto ciò, anche il nostro dibattito congressuale può e deve cambiare, mettendo da parte certi personalismi e parlando di più dei problemi del Paese e dimostrando che noi siamo la forza che in modo inflessibile persegue l' interesse nazionale e, in questo modo, difende meglio quel popolo, fatto di lavoratori, precari, piccole imprese, partite iva in difficoltà, pensioni minime, poveri, che ci sta a cuore e che vogliamo rappresentare perché la sua dignità è la ragione fondante dell' impegno di un partito autenticamente di sinistra".