PRATO– Per il saggio di fine corso degli allievi della scuola di formazione per giovani attori del Teatro Metastasio Il mestiere del teatro, è andato in scena con grande successo La ballata di Pulcinella, capitano del popolo, spettacolo concettualmente sontuoso, che prende le mosse dal mondo delle favole per descrivere una plebe garrula, affamata e cenciosa, metafora di un’Italia vista come il Mezzogiorno d’Europa. Marcello Bartoli recupera Pulcinella, capitano del popolo, uno splendido testo degli anni Settanta di Luigi Compagnone, autore poco frequentato dal grande pubblico - una di quelle perle che riescono a fotografare un intero Paese e la sua storia -, alleggerendolo delle parti più marcatamente legate a quel decennio, per trarne una pièce amara, commovente, e caustica. Nel testo si immagina la routine di un misero caseggiato della periferia partenopea, magicamente abitato da tutti i personaggi delle fiabe che quotidianamente rivivono la loro avventura.
Questa routine viene sconvolta dall’arrivo in città dei Reges, gli oppressori dei tempi passati, dagli Aragonesi ai Savoia, fino a Mussolini e le truppe americane d’occupazione, sbarcate dopo l’8 settembre. L’obiettivo, è quello di conquistare il potere e assoggettare il popolo, com’era accaduto nei tempi passati. Le storie fantastiche s’intrecciano con la Storia, quella dei grandi fatti del pensiero, ma più ancora dei grandi fatti del potere, una Storia di soprusi e angherie che il popolo napoletano conosce bene.
Per evitare una sommossa popolare, i Reges accettano Pulcinella quale Capitano del Popolo. Una rilettura della figura di Masaniello, che a metà del Seicento capeggiò una rivolta contro gli Aragonesi, finendo poi per lasciarsi conquistare dall’ebbrezza del potere, e morendo assassinato. Anche Pulcinella amministra la giustizia ricorrendo alla forca e alla galera, esattamente come i potenti del passato. Interessante la rilettura del potere, rappresentato dalle figure caricaturali di Mussolini, Hitler, una dama aragonese, Vittorio Emanuele II e un militare americano, che entrano in scena con un balletto e una pantomima; le marionette della Storia, convinti di essere le leve di meccanismi in realtà più grandi di loro.
Ciò non toglie che il potere agisca con ottusità e crudeltà, dedito ai vizi e alla depravazione; e a Pulcinella giunge la richiesta di trovare le donne per il Gran Bordellame, ovvero il casino dei potenti; in cambio, verrà nominato principe e potrà così conquistare quella Bella Addormentata di cui è innamorato da tempo. A convincerlo, il Cardinale Avvocato, suo antico protettore nonché equivoco personaggio religioso e politico insieme, simbolo di quella Chiesa che già Dario Fo aveva pesantemente attaccata in Mistero buffo.
Con questo infame obiettivo, Pulcinella orchestra una serie d’inganni per “reclutare” Cappuccetto Rosso, Biancaneve, Bella; infine, quando non trova più disponibilità nel regno delle favole, va in giro per la città a comprare le donne che gli si offrono in cambio di cinque chili di pasta. Entra qui in gioco la profondità del testo di Compagnone, che affronta tutta una serie di problematiche sociali: il complesso rapporto fra la plebe e il potere, con quest’ultimo che gioca subdolamente sulle superstizioni, i vizi e le sofferenze della prima, e la Chiesa legata a logiche corporative.
Si scaglia contro la falsa sapienza propagandata dal potere, che fa leva su superstizioni e religione, contro la pederastia eroticamente impegnata, contro l’incoscienza di un popolo che si vende per fame, e che l’ignoranza ha reso incapace di difendere almeno i suoi diritti. Da una parte, c’è un’eco della tradizione drammaturgica inaugurata da Giordano Bruno nel suo Candelaio, dall’altra si riapre quella polemica della vergogna che già Malaparte aveva accesa in quei capitoli de La pelle, dedicati a Napoli.
Ottenute le donne per il loro bordello, i Reges se ne vanno, e Pulcinella, dopo aver tradito il suo popolo, resta senza la ricompensa promessa. Per colmo di sventura, la Bella Addormentata se ne va con un altro principe. Deluso e amareggiato, in preda ai rimorsi di coscienza, dopo essersi denudato, Pulcinella si impicca sul palcoscenico immerso nel buio, osservato da quel Pulcinella completamente vestito di nero, figura suggestiva al limite dell’inquietante, che simboleggia la sua coscienza non più di maschera ma di uomo.
Alternando (amara) comicità a momenti psicologicamente drammatici, lo spettacolo funziona splendidamente, catturando il pubblico in un’atmosfera a dir poco travolgente, e l’ovazione finale agli attori e la regista ne è il degno riconoscimento. Nella storia del Metastasio, sono pochi gli spettacoli che hanno saputa creare un’atmosfera del genere; e La ballata di Pulcinella, capitano del popolo merita di essere ricordata accanto al Romeo e Giulietta allestito da Zeffirelli nel Marzo ’66 e alle Trame dell’amore e del caso che Rossati mise in scena nell’Ottobre dello stesso anno.
In entrambi i casi, si trattava di opere con attori giovani, così come accaduto ieri sera. E questo dimostra il valore degli allievi del Metastasio, e della scuola che li ha preparati. Tutti i giovani attori sono stati ampiamente all’altezza dello spettacolo, ma volendo citare alcuni nomi, Valentina Cipriani e Maria Elena Gattuso, anche grazie a una sapiente mimica del corpo, hanno interpretato uno struggente Pulcinella, plebeo tormentato dalla fame, dall’amore, da quella Storia che al popolo sempre sfugge di mano, e allora, riecheggiando Carmelo Bene, “al Sud in perdita, vilipeso e ferito, non resta che volare, sognare la vita coi grandi fatti del Pensiero”.
Anche per questo, Bartoli divide l’interpretazione di Pulcinella fra più attori, un po’ come Guicciardini aveva fatto nel ’71 con Perelà uomo di fumo; entrambi sono creature di sogno, coscienze più o meno critiche e sfaccettate di un popolo, l’italiano (del Nord o del Sud che sia), sempre in crisi con sé stesso. Infine, Lorenza Guerrini ha interpretata una Cappuccetto Rosso disinibita, attualissima ragazza-copertina inserita nella logica del sesso come merce di scambio.
Scritto nel 1974, anche in questo aspetto il testo di Compagnone è amaramente attuale. Le musiche originali composte da Nicola Piovani, appassionatamente interpretate in coro dai giovani attori, aggiungono profondità e atmosfera a uno spettacolo maturo che meriterebbe una collocazione nel cartellone principale dei teatri italiani. di Niccolò Lucarelli