Clet

Dai cartelli stradali a “L’uomo comune”. L’arte non autorizzata è di scena Firenze.

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
30 agosto 2013 09:30
Clet

Davanti al suo studio in via San Niccolò, a Firenze delle persone attendono pazienti il loro turno per entrare. Clet, seduto al suo tavolo, parla del suo lavoro da quando vive a Firenze. Mi racconti qualcosa di lei. “Sono francese, bretone”. Ha studiato qui in Italia? “Ho studiato Belle Arti in Bretagna e dopo gli studi sono andato a Roma a fare il restauratore di mobili. Volevo andare all’estero”. Quindi lei voleva solo andarsene dalla Francia. “Volevo uscire dalla Francia, si.

L’obiettivo era questo. Sono andato a Roma ma teoricamente avrei potuto essere ovunque”. E Firenze perché? “Da lì, a Roma, una storia d’amore, un figlio, poi ci si sposta in Toscana, in campagna, poi ci si separa e ora fare il single in Casentino non era proprio il massimo, si rischia di rimanere single. Allora sono venuto nella città più vicina, per rimanere più vicino a mio figlio, che era Firenze. E anche lì sembra più un caso che una scelta”. Come ha conosciuto la celebrità, visto che lei in questo momento è sotto i riflettori della cultura non solo fiorentina? “Ma, grazie ai cartelli stradali.

Hanno un potere comunicativo immenso”. Come è nata l’idea dei cartelli stradali? “Bella domanda, come avviene un’idea? Penso è un concorso di circostanze, cose che si mettono insieme”. Il primo cartello stradale l’ha fatto di giorno o di notte? “Questo lo devo, forse, a mio figlio grande, perché lui era al liceo ad Arezzo, veniva a trovarmi qualche volta qui a Firenze, e la mattina doveva prendere il treno molto presto per arrivare ad Arezzo in orario.

Io lo accompagnavo al treno e mi ritrovavo qui da solo, d’inverno, con la strada deserta, di notte, alle sei del mattino, non sapendo che fare. Non volendo fare delle cose molto impegnative, mi sono messo al tavolino - faceva freddo - a far dei disegnini: giochiamo con i cartelli stradali, questo è così. Qualcosa di intimo. Faceva bene a quest’ora pigra e un po’ assonnata”. Come l’ha conosciuta il pubblico? “Mi ha conosciuto per la strada”.Mentre lei dipingeva? “No, perché vedono i cartelli per strada.

La forza del cartello stradale è questa. Lo vedono tutti”. La cultura fiorentina? È arrivato prima il pubblico o l’ambiente culturale? “Prima il pubblico. Secondo me la cultura ancora non è arrivata. Mi aspetterei, senza arroganza, che i responsabili della cultura pubblica cerchino un modo per collaborare. Io finora non ho visto nessuno. Anche se il loro ruolo pubblico è quello di gestire la cultura”. Ha fatto qualche scultura per Firenze? “Ho fatto due sculture per Firenze.

Una posizionata sul Ponte alle Grazie, “L’uomo comune”, rappresenta l’uomo nel suo quotidiano. Si sta lanciando nel vuoto. Quell’atto di buttarsi è importante. È un voler rendere omaggio al coraggio dell’uomo comune, di tutti noi, di vivere giornalmente dovendo affrontare tutte le difficoltà della vita, l’amore, i conti da pagare, i figli. Questo passo continuo che ognuno fa sempre, e, anche, essendo un passo nel vuoto, vuole simboleggiare il tentativo dell’uomo di uscire dai sentieri precostituiti.

Forse la volontà di liberarsi, da un po’ tutto il pacchetto di regole sociali”. Ma fa un passo nel vuoto… “Nasconde la nostra paura. Il vuoto lo aggiungiamo noi, perché nella realtà non farà mai quel passo, essendo una scultura statica. Solo noi, nella nostra mente immaginiamo quel dopo passo, quindi rappresenta la nostra paura non un pericolo reale. E questo lo trovo interessante. Per me significa anche il tentativo di uscire dalle regole e quindi anche dalla legge.

Io ho un rapporto molto forte con la legge, perché quella scultura lì è stata montata senza autorizzazione, avendo quindi una causa in corso… Ma ritorna il tema del coraggio. Il passo lo fa da solo, nonostante tutto, perché non ci sono altre alternative”. E dell’altra scultura posta nel laghetto del Parco dei Renai che cosa mi dice? “Semplicemente è la stessa scultura de “L’uomo comune” che è stata acquistata da un proprietario dei Renai, e che molto poeticamente l’abbiamo messa insieme sull’acqua.

Praticamente è una risposta alla storia del pericolo. No non c’è pericolo perché quell’uomo cammina sull’acqua, quindi il passo nel vuoto lo può fare tranquillamente. Credo che nella vita il rischio paga”. Cecilia Chiavistelli Foto di Jacopo Santini

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