Cresce l’inflazione a Firenze nel mese di marzo: la variazione mensile registrata è +0,5% (a febbraio era -0,4%), mentre quella annuale è +1,4% (a febbraio era +1,3%). A contribuire a questo dato sono state, rispetto al mese precedente, le variazioni nelle divisioni Servizi ricettivi e di ristorazione (+2,3%), Trasporti (+0,9%) e Comunicazioni (-1,0%). Come comunica l’Ufficio comunale di statistica, nella divisione Servizi ricettivi e di ristorazione sono in forte aumento i servizi di alloggio (alberghi, B&B, etc): +9.2% rispetto a febbraio 2013 e +11,6% rispetto a marzo 2012.
Su base annuale, l’intero capitolo fa registrare un aumento significativo passando da +1,5% registrato a febbraio a +3,6% per il mese in corso. Nella divisione dei Trasporti, si registra l’aumento mensile dei carburanti e lubrificanti per i mezzi di trasporto privati: +0,4% rispetto a febbraio 2013 (ma -1,9% rispetto a marzo 2012). La diminuzione della divisione Comunicazioni (-1,0%) è causata dai cali registrati rispetto al mese precedente degli apparecchi telefonici e telefax (-2,4%) e dei servizi di telefonia mobile (-1,3%).
Per quanto riguarda il cosiddetto ‘carrello della spesa’, i prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza dai consumatori sono aumentati di +0,1% rispetto al mese precedente e sono in aumento di +1,7% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. I prodotti a media frequenza di acquisto sono aumentati di +1,1% rispetto a febbraio 2013; stabili, rispetto allo stesso periodo, quelli a bassa frequenza. I beni, che pesano nel paniere per circa il 56%, hanno fatto registrare a marzo 2013 una variazione di +1,2% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.
I servizi, che pesano per il restante 44%, hanno fatto registrare una variazione annuale pari a +1,6%. Scomponendo la macrocategoria dei beni, si trova che i beni alimentari registrano una variazione annuale pari a +3,3%. I beni energetici sono in aumento di +2,1% rispetto a marzo 2012. I tabacchi fanno registrare una variazione di +1,0 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. La rilevazione si è svolta dal 1° al 21 del mese di marzo su oltre 900 punti vendita (anche fuori dal territorio comunale) appartenenti sia alla grande distribuzione sia alla distribuzione tradizionale, per complessivi 11.000 prezzi degli oltre 900 prodotti compresi nel paniere.
Sono poi considerate anche quotazioni di prodotti rilevati nazionalmente e direttamente dall'Istituto Nazionale di Statistica. I pesi dei singoli prodotti sono stabiliti dall'Istat in base alla rilevazione mensile dei consumi delle famiglie e dai dati di contabilità nazionale. Per le festa venduto circa il 25% della produzione annuale. Ma i prezzi pagati agli allevatori sono in calo Pasqua: la crisi colpisce anche il mercato toscano degli agnelli (-15%). La Cia Toscana contro le associazioni animaliste: «Speculano sulla pelle degli allevatori per falsi scopi ideologici.
E’ l’ora di finirla». La crisi dei consumi colpisce anche il mercato degli agnelli in Toscana. Nel periodo prepasquale 2013 – sottolinea la Cia Toscana – si è registrato un calo dei capi commercializzati del 15% rispetto allo stesso periodo dello scorso. Secondo i dati forniti da Atpz (Associazione toscana produttori zootecnici) infatti, l’associazione ha immesso nel mercato circa 2.600 agnelli, contro i circa 3.000 capi del 2012. «Fra le cause principali – commenta il presidente di Cia Toscana Giordano Pascucci – sicuramente la crisi dei consumi (che per questa Pasqua si attesterà al -7%) e anche il calendario, visto che è una Pasqua che cade a marzo, ed accorcia il periodo di vendite di una decina di giorni».
Ed anche i prezzi pagati agli allevatori sono in ribasso del 10-15% rispetto allo scorso anno: 1 kg di agnello viene venduto dai 3,80 euro/kg a 4,40 €/kg. Un mercato che vive nel periodo pasquale il momento migliore, e fa respirare un po’ gli allevatori toscani, che, però, oltre che con la crisi, devono fare i conti con assurde campagne mediatiche di associazioni animaliste che invitano a non acquistare gli agnelli: «E’ l’ora di finirla con queste invenzioni da parte delle associazioni animaliste, che ogni anno – commenta il presidente di Cia Grosseto Enrico Rabazzi – invitano i consumatori a non mangiare carne di agnello, per chissà quale scopo che solo in apparenza è ideologico.
Si gioca sulla pelle e sull’economia di migliaia di aziende zootecniche italiane e toscane che sono già alle prese con una crisi di mercato e di consumi – oltre che con i crescenti costi di produzione - che dura da ormai troppi anni. Nel periodo della Pasqua i nostri allevatori vendono circa il 20-25% dei capi dell’intera produzione annuale, riuscendo a strappare prezzi migliori di 1 euro al kg rispetto al resto dell’anno. E c’è chi tutto questo fa finta di non ricordarlo e specula sul futuro degli agricoltori».
Se a questo aggiungiamo che il rapporto del ricavato per i produttori fra agnello da carne o pecora da latte è di 1 a 5, ovvero si guadagna cinque volte di più ad allevare una pecora per poi produrre il formaggio pecorino, ecco che allevare ovini da latte proprio sembra non convenire più come in passato. Nelle province maggiormente vocate della Toscana (Grosseto e Siena), il 90 per cento dei capi è da latte (di razza sarda), mentre solo il 10 per cento è da carne (prevalenza di razza appenninica).