“Talvolta, capolavori sconosciuti si nascondono, ovvero si mimetizzano, dinanzi a innumerevoli sguardi”, così un rilievo di marmo inserito nel Cortile di Michelozzo di Palazzo Medici Riccardi nei primi anni del XVIII secolo è oggi presentato come opera attribuibile a Michelangelo Buonarroti. La composizione, l’iconografia, i riferimenti letterari, l’altissima qualità, la tecnica e lo stile della scultura, i confronti e le coincidenze con le opere di Michelangelo, rendono l’attribuzione di questa formella al grande Maestro fiorentino molto più che un’ipotesi. Quasi al centro di uno dei grandi “cartelloni” collocato sulla parete meridionale del cortile, esattamente quella verso l’angolo occidentale, il piccolo rilievo marmoreo, raffigurante una donna sdraiata teneramente abbracciata a un bambino, rivela la sua natura rinascimentale, benché sia stata inserita fra reperti in marmo greci e romani. La ricostruzione storica della collocazione di quest’opera risale a dopo che i Riccardi avevano acquistato, nel 1659, il Palazzo Medici di Cosimo il Vecchio in via Larga, capolavoro del XV secolo: nel primo Cinquecento lo studiò Leonardo, vi lavorò Michelangelo.
Nel mirabile Antiquarium creato da Francesco Riccardi, alcuni pezzi furono oggetto di critiche da parte di studiosi che mettevano in dubbio l’antichità di alcuni frammenti. Il rilievo rinascimentale ora individuato potrebbe persino essere stato eseguito come un “falso-antico”, pratica nella quale si distinse lo stesso Buonarroti. L’opera, rotta in più frammenti in epoca imprecisata, fu ricomposta e incastonata nell’attuale cornice prima del 1715, sicuramente prima del 1719, anno dell'ultimo pagamento dei lavori eseguiti da Foggini e dai suoi allievi per i Riccardi. Lo studio sulla “lastrina” e l’ipotesi di attribuzione del rilievo a Buonarroti è stata avanzata per la prima volta da Gabriele Morolli e Alessandro Vezzosi nel recentissimo volume “Michelangelo Assoluto”, edito da Scripta Maneant (Reggio Emilia, 2012), a cura dello stesso Vezzosi, con introduzioni di Carlo Pedretti e Claudio Strinati, contributi (oltre che di Morolli) di Lucilla Bardeschi Ciulich, Rab Hatfield, Marina Mattei, e arricchito dalle interpretazioni fotografiche di Aurelio Amendola. “La Provincia di Firenze accoglie con molto entusiasmo questa ricerca, portata avanti con serietà e competenza – ha commentato il Presidente dell’amministrazione provinciale Andrea Barducci - .
L’attribuzione del rilievo a Michelangelo è anche un’occasione per riscoprire le bellezze, spesso poco note, di Palazzo Medici Riccardi. Proprio per questo motivo, è stata messa in programma un’operazione di accurata ripulitura delle sculture conservate nel Cortile di Michelozzo”. La lastrina di marmo misura attualmente cm 43,5x58, mentre - come ricostruisce Gabriele Morolli - le misure presumibilmente originarie dell’opera, di cui oggi non si vede il termine a destra, potevano raggiungere una larghezza di 67-68 cm, mentre l’altezza doveva essere di poco superiore a quella attuale.
Una misura ‘non fiorentina’ – chiarisce Morolli – usata da Michelangelo in quanto diviso nella sua biografia artistica tra Firenze e Roma, e tendente alle proporzioni del rapporto 2:3 di quinta musicale. Il rilievo rinascimentale è stato denominato “Venere e Amore” nell’ambito di una ricerca che ha permesso di individuare chiari parallelismi e convergenze con i caratteri di molte opere di Michelangelo, a partire dal contrasto tra il levigato, il ruvido e il ‘non finito’. La formella Riccardi potrebbe anche essere una traduzione scultorea della Venere e Cupido “disegnata da Michelangelo e colorata da Pontormo”, ideata dal Buonarroti tra il 1532 e il 1533 per la camera di Bartolomeo Bettini e rielaborata negli anni in almeno sedici dipinti identificati e in altri sedici documentati, oltre a disegni e cartoni, da artisti come Agnolo Tori detto il Bronzino e Giorgio Vasari (cfr.
la mostra “Venere e Amore” del 2002 nella Galleria dell’Accademia). Ma per Morolli e Vezzosi è più probabile che sia invece un antecedente databile verso il 1504 e in relazione con il Tondo Pitti (Firenze, Bargello) e il Tondo Taddei (Londra, Royal Academy). Senza escludere tuttavia l’ipotesi suggestiva del periodo mediceo nel Giardino di San Marco, o “degli esperimenti antiquari” per Pierfrancesco de’ Medici (nell’ultimo decennio del ‘400). Interessante per l’analisi di questa Venere Medici-Riccardi, il confronto con disegni come la figura distesa nella Studio per un Baccanale di Bayonne (attribuito a Michelangelo da Tolnay e Buck) e il frammento che si conserva a Colonia nel Wallraf-Richartz-Museum.
Entrambi potrebbero essere in relazione con una precedente idea compositiva di Michelangelo, o con varianti di cui si ha un’eco nel disegno dello stesso Pontormo che trasforma il bacio incestuoso nell’abbraccio di una Madonna che allatta. Questa Venere Medici-Riccardi presenta sì la potenza dell’Amore, ma un nudo femminile meno eroico e più aggraziato, meno virile di quello di Michelangelo-Pontormo che l’Aretino lodava per aver fatto Michelangelo “nel corpo di femmina i muscoli di maschio”. La posizione di questa Venere presenta affinità compositive persino con l’Adamo nella volta della Cappella Sistina, con l’Aurora e la Notte nelle Cappelle Medicee, con il dipinto perduto (e il cartone) di Leda e il cigno, con Venere e Amore di Pontormo-Michelangelo (Firenze, Galleria dell’Accademia), e continuano con il Sogno della vita umana (Londra, Courtauld Institute) e con il disegno di Sansone e Dalila (Oxford, Ashmolean Museum), fino al San Paolo dell’affresco vaticano. Risalta nel rilievo un senso astraente e dinamico nei volumi, sensibile in luce e in ombra, nell’invenzione e reinvenzione della posizione resa celebre verso il 1517-1520 dall’incisione di Marcantonio Raimondi da Raffaello; ma certo Michelangelo – afferma Vezzosi – non aveva bisogno di Raimondi per una simile soluzione iconografica di così “elegante vivacità d’artifizio”. Un nuovo riconoscimento di autografia riferita a Michelangelo è di estrema complessità.
Ulteriori indagini e studi proseguiranno, insieme a nuovi confronti critici, per approfondire l’attribuzione del rilievo Medici-Riccardi al Buonarroti, ma già quanto evidenziato ha di per sé grande fascino e credibilità. “Anche se non fosse opera di Michelangelo ma di un suo seguace – commentano Morolli e Vezzosi – crediamo che l’individuazione di questo rilievo Medici-Riccardi raffigurante Venere e Amore rappresenti la sorprendente riscoperta di un raffinato, piccolo capolavoro”. Caratteristiche tecniche La lastrina in marmo - alta 43,5 cm e larga 58 circa - risulta ricomposta con 9 frammenti di differenti dimensioni: ha un bordo rilevato (un liscio nastrino a listello) sia sul lato verticale sinistro che su quello orizzontale superiore, che attualmente in basso e a destra. I personaggi scolpiti sono due.
Una donna nuda è adagiata in una morbida posa, posta com’è sul fianco destro, sostenuta dal braccio elasticamente flesso e “puntellata” sul polso ripiegato e sulla mano rivolta verso l’esterno; mentre il braccio sinistro si protende nella porzione superiore del marmo. Il volto si presenta in un tagliente profilo, mentre le due gambe sono scolpite in ardito contrapposto: la destra completamente allungata e la sinistra fortemente ripiegata sin sotto la coscia. Il fanciullo si avvita teneramente in grembo alla ‘madre’, ponendosi disinvoltamente a cavalcioni della coscia sinistra, stringendola con le gambette piegate e salendo con il piccolo busto lungo il petto della figura femminile, della quale il braccino sinistro cinge dolcemente il capo, in modo che la riccioluta testa del bambino possa giungere all'altezza del volto materno quasi a unire le labbra in un bacio. “Una composizione sapiente - nota Gabriele Morolli - dove ogni gesto è inserito in un contesto generale di accorti bilanciamenti e contrappunti.
La superficie marmorea è lavorata in modo variegato: dalla finitura quasi perfetta di alcune parti alla sbozzatura meno definita di altre, fino a porzioni arditamente ‘non finite’, come i volti dei personaggi. Come in una seducente, generale impressione di work in progress, di ‘prova d’artista’”. Maria Vittoria Galeazzi