La riforma del Mercato del Lavoro, come più volte affermato dalla CGIL, introduce,per la prima volta elementi di controtendenza rispetto ad una progressiva azione tesa alla precarietà e alla demolizione delle regole di ingresso nel mercato del lavoro. Aver posto argine agli abusi di alcune forme come l'associazione in partecipazione, o i tirocini (peraltro in Toscana già normati), aver appesantito il costo delle assunzioni a tempo determinato, individuato l'apprendistato come strumento di ingresso prevalente ed aver allargato i benefici della indennità di disoccupazione ai lavoratori delle piccole imprese o agli apprendisti, rappresenta un risultato di valore che non intendiamo disconoscere. Tuttavia, a partire dalla realtà del mercato del lavoro in Toscana, vogliamo evidenziare i limiti e i problemi, al di là dell'articolo 18, connessi alla riforma che, a regime dal 2017, comincerà per ciò che riguarda la riduzione degli ammortizzatori, a partire dalla mobilità, ad avere effetto dal 2014, senza che oggi sia possibile valutare se saremo o meno fuori dalla crisi. Come ampiamente più volte sottolineato, in Toscana vi è una media di avviamenti al lavoro tra i 172.000 e i 185.000 a trimestre.
Non si tratta di “teste”, cioè di oltre 700.000 posti di lavoro nuovi in Toscana ogni anno, ma di lavoratori a cui in prevalenza viene reiterato per brevi o brevissimi periodi un contratto temporaneo. Se prendiamo a riferimento l'ultimo trimestre disponibile, su oltre 172.000 nuovi avviamenti notiamo come circa l'88% sia a termine. L'elaborazione proposta prova a simulare cosa accadrebbe se la riforma fosse a regime nella situazione data. Dei 110.000 lavoratori avviati con contratto a tempo determinato o interinali, per i quali non cambia il requisito di accesso (necessarie 52 settimane di lavoro nel biennio), l'esperienza storica ci dimostra che oltre il 50% sarà escluso da qualsiasi beneficio; I lavoratori a progetto, a chiamata e i voucher, che il Governo aveva originariamente proposto di abolire e successivamente ha deciso di mantenere pur con alcuni vincoli in più ( ad esempio l'obbligo di comunicazione preventiva), in regione 30.424, resteranno esclusi dalla nuova ASPI. In definitiva per oltre il 60% del totale dei nuovi avviamenti non ci sarà alcun beneficio!!! L’abolizione della Cassa Integrazione Straordinaria per le causali di cessazione di attività per procedure concorsuali (nel triennio della crisi in Toscana 288 imprese interessate, 12.800 lavoratori), che oggi garantiva da un minimo di 24 mesi a un massimo 60 mesi (tra Cassa Integrazione e mobilità), verrà ridotta a soli 12 mesi di ASPI, elevabile a 18 mesi per gli ultracinquantacinquenni.
A situazione di crisi immutata ciò equivarrebbe ad un 1,1% di tasso di disoccupazione in più! Si stima che questo comporti una perdita di indennità erogate a lavoratori in difficoltà di oltre 180 milioni di Euro all'anno, a cui si vanno ad aggiungere oltre 60 milioni non erogati a causa del passaggio per tutte le fattispecie (non solo fallimenti) dalla mobilità all’ASPI. L'allungamento da 8 a 12 mesi della disoccupazione ordinaria, in futuro ASPI, ai lavoratori delle piccole imprese o agli apprendisti comporterà un maggior onere e un trasferimento ai lavoratori per circa 250 milioni di Euro.
La riforma a costo 0 insomma ! Da notare che se è utile ricordare che il tempo di permanenza medio in mobilità in Toscana è di 8 mesi, ciò non vale per il segmento più debole del mercato del lavoro: infatti, se prendiamo la fotografia al 31.12. 2011 degli iscritti alla mobilità possiamo notare come il 58% avesse più di 50 anni e il 40% oltre i 55. Ciò dimostra la maggiore e naturale difficoltà di ricollocazione e di maggiore debolezza di questa fascia di lavoratori su cui si è scaricato anche il peso della riforma delle pensioni e la tendenza delle imprese a “disfarsi “ prioritariamente dei lavoratori anziani. Infine sull'articolo 18; Come già segnalato nei giorni scorsi, nel 2011 la sola CGIL Toscana ha impugnato 2.265 licenziamenti. 1.279 erano lavoratori a tempo indeterminato licenziati senza giusta causa; 28 ( 1,2%) per discriminazione; 138 ( 6%) per ragioni disciplinari; Il restante 92,8%, che a seguito della riforma potranno richiedere il solo risarcimento, sono riconducibili ad altre motivazioni genericamente afferenti a motivi economici. In allegato le ultime tabelle sono riferite ad alcune simulazioni, niente affatto casi limite, a cura del nostro patronato INCA, che fotografano i cambiamenti connessi alla recente riforma pensionistica varata dal Governo Monti.