Una lettera al sottosegretario Marco Rossi Doria presso il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca per esternare i disagi della struttura fiorentina ed attivare una risposta da parte delle istituzioni. Ad inviarla è uno dei professori storici della struttura, Girolamo Dell’Olio, un punto di riferimento per i ragazzi e per i colleghi, non nuovo ad intraprendere battaglie sociali. Decine di docenti, quasi 200, e centinaia di studenti, 1800 circa (con le rispettive famiglie) nell’Istituto dell'area fiorentina.
Istituto di più antica e importante tradizione nella città di Firenze, la prima scuola tecnica, fra le superiori più grandi d’Italia: da essa sono uscite generazioni di maestranze qualificate, tecnici e quadri che hanno fatto in vario modo la storia. Si tratta dell’ISIS “Leonardo da Vinci”, al quale dal 1951 è stata affiancata la costola del Professionale, sede di indirizzi numerosi e talora rari, fucina di progetti (a partire dall’educazione alla salute), di esperienze di scuola attiva (giornalismo), di produzioni (libri, poster, calendari), su temi che spaziano dall’area storica alle tematiche energetiche, dal restauro di preziosi strumenti d’epoca alla domotica.
Un luogo significativo anche per l’utilità sociale che riveste: lo attesta la provenienza spesso critica di una quota non indifferente e crescente dei ragazzi. "Quattro anni fa il ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni e il sindaco di Firenze Leonardo Domenici stipularono una convenzione per effetto della quale l’ITI-IPIA, fondato nel 1900 dal Comune di Firenze, modello ante litteram di autonomia, passava all’amministrazione dello Stato non essendo più le casse comunali - si sosteneva - in grado di sopportare le spese per il personale (la gran parte), per l’aggiornamento delle dotazioni e per la manutenzione della cittadella.
Un trasferimento avvenuto nonostante la contrarietà espressa in ogni possibile modo, democraticamente, dagli studenti, dal personale, dai docenti, da buona parte del ceto intellettuale e dell’opinione pubblica. Siamo in grado di documentarLe la circostanza con dovizia di riferimenti, anche dalle pagine dei giornali. Si temeva – come è puntualmente avvenuto – il venir meno della specificità dell’ITI-IPIA: alla qualità e alla continuità didattica che caratterizzava la scuola, assicurando orari e cattedre stabili sin dal primo giorno del calendario, si è progressivamente affiancata la dimensione da ‘porto di mare’ che connota la scuola pubblica statale: continui trasferimenti, avvicendamenti, precarietà.
Si temeva ancora, e anche questo è stato confermato dagli eventi, che il mancato coinvolgimento della Provincia di Firenze nell’accordo avrebbe determinato una lunga stagione di assenza di interventi sul piano della manutenzione e dell’aggiornamento delle dotazioni. Quella stagione perdura tuttora. Il presidente della Provincia (Matteo Renzi prima, Andrea Barducci dopo) ha potuto chiamarsi legittimamente fuori da questo compito: la Provincia non era stata consultata al momento del passaggio allo Stato.
Altrettanto ha potuto legittimamente fare il sindaco di Firenze, che a giugno 2009 è passato dalla presidenza della Giunta Provinciale alla Sala di Clemente VII a Palazzo Vecchio: il compito della manutenzione non spetta ai Comuni. Le lasciamo immaginare in quali condizioni versa attualmente - e, paradossale, legittimamente - l’Istituto tecnico più prestigioso della Toscana" scrive il professore al sottosegretario. "E tuttavia, quella stessa convenzione – che trasferiva il personale ATA dalle competenze maturate nel nostro ambiente a funzioni non necessariamente analoghe nel Comune di Firenze - sanciva solennemente che i diritti dei docenti storici già in servizio all’ITI-IPIA, inseriti in graduatorie ovviamente distinte da quelle dello Stato, non avrebbero subìto alcuna modifica: competenze, retribuzioni e graduatoria restavano appannaggio del Comune di Firenze.
Un impegno onorato poco più di quattro anni, tuttavia: senza informarne – per quanto ci consta – né il Dirigente scolastico, né il Consiglio d’Istituto, né il Collegio dei docenti, né le rappresentanze sindacali, né il Consiglio comunale, e men che meno l’opinione pubblica, il sindaco Matteo Renzi ha indirizzato a gennaio 2011 una richiesta riservata di soccorso al ministro Maria Stella Gelmini, perorando la causa della statalizzazione anche del corpo insegnante della scuola con buona pace degli impegni precedentemente assunti dalle parti pubbliche.
Nella lettera, il sindaco chiede “il trasferimento definitivo del personale docente negli organici dello Stato”, a dispetto della condizione contenuta nella convenzione sottoscritta il 29 giugno 2007 tra Ministero e Comune, definita dal sindaco “utile nel 2007 per consentire la conclusione degli accordi” Una nota, quella del sindaco, rimasta riservata fino al 1 agosto 2011, quando lo scrivente ne ha ricevuto copia dopo aver chiesto l’accesso agli atti di un procedimento che appariva fin troppo oscuro: di statalizzazione imminente del corpo insegnante si parlava infatti sui giornali e nei corridoi senza che l’Amministrazione comunale avesse in alcun modo provveduto a dare adeguata informazione e a consultare i diretti interessati, benché si stesse contravvenendo – secondo ogni apparenza - ai termini di un impegno sottoscritto nel 2007.
A detta del dirigente che trasmetteva allo scrivente quella nota, al 1 agosto 2011 “non esiste al momento un procedimento amministrativo attivato inerente il passaggio del Personale docente dell’ISIS “Leonardo da Vinci” nei ruoli del MIUR”. Ma solo due giorni più tardi, il 3 agosto 2011, appena dopo che i contenuti della lettera del Sindaco al Ministro erano stati resi noti, dunque, Matteo Renzi - che mai aveva risposto alle richieste formali, private e pubbliche, di informazione e trasparenza - annunciava trionfale su Facebook la firma del decreto interministeriale di cessione allo Stato anche dei docenti dell’ITI-IPIA Lei può capire quanto sia stato per noi mortificante il fatto di dover subire questo tipo di trattamento.
Lei può facilmente immaginare anche l’indotto negativo che ne è derivato sulle motivazioni e sull’atteggiamento di molti di noi. Particolarmente inaccettabile era - e resta - che tale disinvoltura nella gestione del materiale umano chiamato a educare quotidianamente i giovani al rispetto della legalità e alla fiducia nelle istituzioni provenisse proprio dalle istituzioni pubbliche C'è anche un altro aspetto, quello che riguarda i benefìci che all’erario deriverebbero da una siffatta operazione, atteso che il Comune nulla dà o promette, in cambio, allo Stato.
Lasciamo perdere i danni che dalla statalizzazione dell’ITI derivano ai genitori-contribuenti, per la oggettiva perdita di qualità della scuola alla quale iscrivono i figli. Ma ci venga quanto meno spiegata la ratio economica, la convenienza contabile, per lo Stato, di questo passaggio. Non siamo in grado di riconoscerla. La statalizzazione del corpo docente comunale non solo rischia di precarizzarne la posizione (non risultano tuttora noti i termini concreti delle eventuali garanzie di riconoscimento giuridico della carriera né delle condizioni alle quali avverrebbe l’immissione nelle graduatorie statali: in passato, il punteggio maturato in Comune si dimezzava...), ma è considerata con preoccupazione anche dal lato-Stato, sul piano della riduzione delle opportunità di ingresso di nuovi insegnanti nella professione.
In ogni caso, l’acquisizione di quasi 200 docenti rappresenta un onere aggiuntivo, per l’erario, che male appare conciliarsi con le esigenze di una fase di stretta delle risorse come quella attuale. C’è infine il lato sociale della questione. Non è detto che sia saggio insistere nell’umiliazione delle aspettative di legalità che i cittadini-insegnanti sono tenuti a nutrire e a promuovere. Nel panorama di conflittualità che si fa sempre più aspra per la perdita di stabilità che le nostre economie subiscono dopo lustri di sprechi e malaffare, non sembra davvero saggio che i poteri pubblici adottino procedure così poco rispettose. Il caso “Da Vinci” è una goccia nel mare, è vero: ma il mare è fatto, appunto, di gocce.
E se, stando anche solo all’aspetto erariale della questione, l’impostazione è di farli, i conti, non sarebbe fuori luogo che questo governo imprimesse un’inversione di rotta anche in questo caso. Sarebbe oltremodo apprezzato, penso, un intervento correttivo dal quale gli studenti e le famiglie da una parte, i docenti e il personale dall’altra, possano trarre stimolo a saldare in una comune prospettiva costruttiva, piuttosto che in una nuova occasione di contenzioso (che già una parte del corpo docente preannuncia a suon di carte bollate: il prossimo 28 gennaio scadrebbero, a quanto ho appreso, i termini per il ricorso legale) le rispettive aspettative di coerenza dell’offerta pubblica con le esigenze di qualità dell’istruzione e di rispetto del ruolo degli educatori".