Il presidente della Giunta regionale ha chiuso la seduta del Consiglio solenne. Il racconto di Antonio Ceseri, scampato ad un massacro di soldati italiani. La storia e il destino di 650mila militari che rifiutarono di collaborare con i nazisti dopo l’8 settembre. L’intervento di Mario Fineschi, consigliere della Comunità ebraica di Firenze. Siena – “La Regione”, ha ricordato il presidente della Giunta regionale Enrico Rossi, chiudendo la seduta solenne del Consiglio, “nel 2002 ha fatto la scommessa del Treno della memoria, grazie al quale tanti giovani hanno visitato Auschwitz e si sono resi conto di cosa sia avvenuto nei lager.
Dobbiamo proseguire questa esperienza, rinnovarla ogni anno, così come dobbiamo rinnovare l’incontro con le scuole al Mandela Forum”. Rossi ha sottolineato che la Toscana ha grandi risorse di democrazia “ma questo non ci esime dal dovere di ricordare e di impegnarci perché in futuro non accadano mai più tragedie come l’Olocausto, perché bisogna stare attenti al razzismo e all’odio sottile che si insinua sottotraccia e che potrebbe aprire la strada a nuove forme di egoismi, nazionalismi e dittature”.
Per questo, ha concluso, serve “scommettere sul confronto delle idee e delle culture” e serve riscoprire “il senso della parola compromesso, una parola spesso ridicolizzata ma che invece ha permesso di costruire l’unità d’Italia e l’idea di Europa unita che vogliamo raggiungere”. Il vivido racconto di Antonio Ceseri, militare italiano deportato dai nazisti, ha sospeso il tempo nella sala consiliare della Provincia, riportata nell’incubo delle violenze e delle privazioni nei campi di prigionia e della esecuzione sommaria di 130 soldati italiani, ammassati dai tedeschi in una fossa e trucidati a colpi di mitra.
“Quando i nazisti cominciarono con le raffiche - ha raccontato Ceseri -, ero nel mezzo, fui coperto, e salvato, dai corpi dei miei compagni. Rimasi sei ore sotto i cadaveri e la terra che i nazisti ci avevano gettato sopra. Ci salvammo in tre”. La storia dei militari italiani che rifiutarono di collaborare con i nazisti dopo l’8 settembre, furono fatti prigionieri e deportati nei campi di prigionia è stata l’oggetto della lezione dello storico Giorgio Rochat. “Ne furono deportati circa 650mila, tra cui trentamila ufficiali.
Solo il 10 per cento cedette alle pressioni e aderì alla Repubblica di Salò o collaborò con l’esercito tedesco. Ne morirono 40mila, di stenti o per mano delle guardie. La dieta era di 600 calorie al giorno, i soldati tedeschi usavano nei loro confronti disprezzo e bestialità”. Poi, per tutti quelli che riuscirono a sopravvivere, il triste ritorno a casa, “con la delusione, per tutti, di scoprire che erano stati dimenticati. Un oblio che continuerà per decenni”. “Il Giorno della memoria è stato voluto per aprire una riflessione sul dramma dello sterminio, ma limitarsi a una semplice celebrazione sarebbe poco utile”, ha affermato Mario Fineschi, della comunità ebraica di Firenze.
E sarebbe poco utile “perché, invece”, ha aggiunto, “è necessario tramandare ai giovani la drammatica verità storica di quanto è accaduto. Dobbiamo cioè passare dalla fase del ricordo all’attualizzazione di esso, per costruire un sistema di valori condivisi che sia un presidio contro il ripetersi di orrori simili a quelli che oggi ricordiamo”.