di Enrico Rulli scrittore Conosco Gianluca Casseri da molto tempo. Mi riferisco al Gianluca che per anni ho considerato un amico: intelligente, disponibile, educato, curioso, gentile, dotato di una cultura disordinata, ma vastissima, sempre attento ai particolari, una persona mite. Una persona che con l’andare del tempo ha radicalizzato le proprie idee secondo un disegno opposto al mio ma che, proprio per questo, era un piacere frequentare, per quella tolleranza che lo contraddistingueva.
Il nostro rapporto era basato su una dialettica vivace, spesso aspra, ma mai scontata, e sempre civile, che permetteva a persone diversissime di comunicare. Una persona nella quale comunque riconoscevo valori profondi: onestà, rispetto, lealtà, onore. Una persona che prima una grave malattia e poi la depressione hanno spinto in un mondo autoreferente e nella solitudine. In questo terribile silenzio è maturato il suo declino, l’affezione a tesi sempre più estreme. Non so come abbia potuto concepire la sua terribile decisione, cosa l’abbia spinto, né, come alcuni ventilano, se sia stato aiutato a compiere quel gesto. Cari padri e care madri, mogli, amici di coloro che sono caduti sotto la sua follia, mi rivolgo a voi a nome di ciò che era Gianluca prima di diventare un folle omicida. Non per chiedere perdono a suo nome.
Un gesto così terribile non può essere perdonato. Tutto questo sangue. Tutto questo dolore. Mi rivolgo a voi nella certezza che il suo sia stato il gesto di un folle. Il Gianluca che ricordo chiamava imbecilli chi discrimina gli altri sulla base del colore della pelle. Non un pericoloso estremista ha sparato a dei neri, ma un povero essere umano ha colpito altri poveri esseri umani. Tutto questo dolore può essere vissuto come un ennesimo episodio di violenza, inevitabile e foriero di altre azioni, magari più turpi.
O può essere l’opportunità di cui farci forza per cambiare rotta. Mi rivolgo a tutti coloro che leggeranno queste righe. Cari padri e care madri, ricordiamo quest’atto, imprimiamocelo nelle nostre anime, per non parlare più di stranieri e di razza, di nero e di bianco. Solo di esseri umani. Lo dobbiamo ai figli di cui ci prendiamo cura con fatica, che crescono insieme, inconsapevoli della malizia presente nei nostri occhi d’adulto, che abiteranno nelle nostre case dopo di noi. Che vivranno insieme.
Il Gianluca che io ho conosciuto avrebbe detto che il nostro dovere è di farne un unico popolo, fiero, libero, orgoglioso. Tutti figli uguali di un grande paese.