L’Italia di oggi è un paese pieno di contraddizioni. È un paese di migranti che respinge gli immigrati. È un paese che si mette alla finestra a guardare i giovani partire. È un paese che risponde a una crisi profonda con l’astrazione di parole vuote e inefficaci. L’Italia è un paese spaccato in due da una politica che sottolinea i contrasti e non li risolve: un paese che ha due anime, un nord e un sud che non sanno dialogare e che si allontanano in una deriva che coinvolge entrambi.
Quando è nata la frattura che attraversa il nostro paese? Quali sono le origini di una ferita che sanguina da così tanto tempo? La “questione meridionale” affonda le radici in un terreno antico, antico quanto l’Italia: nell’anno dei festeggiamenti per i 150 anni dell’unità, è giusto ricordare dunque che molte delle fratture che attraversano il nostro paese sono ferite che risalgono proprio al processo di unificazione. All’Italia serve oggi un racconto, un racconto che metta in evidenza luci e ombre di un periodo storico in cui sono nate incomprensioni non ancora risolte e che pesano inevitabilmente su un paese che non è pacificato. In “Terra promessa.
Briganti e migranti” questo racconto prende forma: la storia del brigante lucano Carmine Crocco diventa infatti pretesto per riflettere sulla vita di tanti contadini del sud e del nord Italia, le cui vicende forniscono una chiave per interpretare la storia recente del nostro paese e ci ricordano che gli eredi di quella generazione di sfruttutati sono gli operai della Fiat di oggi. Quello del brigantaggio è nella storia d’Italia un capitolo rimosso e occultato. Fu invece un capitolo importante, una vera e propria guerra civile che registrò un numero delle vittime più alto di quello totale delle guerre di Indipendenza.
A migliaia di contadini, al termine di quei sanguinosi anni, restò, come scelta obbligata, divenire emigranti. È questo infatti il destino di otto milioni di uomini e donne del sud e del nord Italia che negli anni della nascita del nuovo Stato italiano sono costretti a lasciare il Paese. La regia dello spettacolo è di Felice Cappa: in scena Marco Baliani a ripercorrere gli eventi, a ricostruire le circostanze e a illuminare i luoghi che i protagonisti di quelle vicende hanno consegnato alla storia.
Ad accompagnare le parole del narratore in scena, compaiono, su schermi sovrapposti, come apparizioni fantasmatiche, altri personaggi, un contadino, una popolana, un barone e un soldato piemontese, a comporre un mosaico di racconti fatto di voci e punti di vista differenti. Questa fermentazione narrativa vive all’interno di una speciale scatola luminosa, che racchiude il narratore e la sua storia in un caleidoscopio di immagini proiettate. Brevi squarci di vita, memorie di luoghi, riflessioni si amalgamano in uno spezzato affresco che regala allo spettatore una prospettiva rara da cui osservare questi frammenti di storia e meditare sul presente.