Hanno rischiato l’estinzione. Oggi rappresentano la nuova frontiera del vino toscano. Si chiamano pugnitello e abrusco, foglia tonda e barsaglina i vitigni autoctoni grazie ai quali la viticoltura toscana può trovare nuove originali potenzialità da inserire in un mercato che richiede sempre di più prodotti in sintonia con il territorio di origine. Oggi all’Enoteca italiana di Siena questi fratelli minori del Sangiovese sono stati protagonisti di un convegno inserito nell’ambito della manifestazione “Vignaioli & Vignerons”, interamente dedicata al vino come espressione di un rapporto con chi lo produce e con le sue origini.
Oltre che occasione per un confronto con i produttori di varie regioni europee, l’incontro è servito a illustrare i risultati di un progetto curato dall’Arsia (Agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione in campo agricolo) che ha studiato questi vitigni e che, per almeno nove di questi ha formulato indicazioni tecniche e tecniche colturali con le quali potranno trovare spazio nelle produzioni e, si spera, nel mercato. "La grande ricchezza del patrimonio genetico che può vantare la Toscana rappresenta un valore aggiunto per l’intero comparto – ha osservato Maria Grazia Mammuccini, direttore dell’Arsia, aprendo i lavori - questi vitigni che stiamo riscoprendo consentono di raggiungere allo stesso tempo una serie di risultati: valorizzano l’identità territoriale e in questo modo contribuiscono alla salvaguardia della biodiversità, inoltre ampliano la gamma dei potenziali sapori e dunque consentono di creare un serbatoio notevole di potenziali novità". "Quello di oggi è stato un convegno importante – ha aggiunto Claudio Galletti, presidente di Enoteca Italiana – la valorizzazione dei vitigni autoctoni è il filo conduttore della filosofia dell’Enoteca Italiana.
L’Ente Vini, infatti, ha l’obiettivo di promuovere la ricchezza del patrimonio vitivinicolo nazionale. L’Italia è il Paese con la maggiore biodiversità, abbiamo ben 355 vitigni autoctoni. E’ un record unico al mondo, un tratto distintivo delle nostre produzioni da valorizzare soprattutto sui mercati esteri abituati ad apprezzare i vitigni internazionali". Il progetto di valorizzazione dell’Arsia, volto a accrescere le conoscenze sui vitigni autoctoni, ma anche a incrementare la superficie coltivata con questi vitigni, ha permesso di studiare a fondo le caratteristiche di nove vitigni ognuno dei quali è radicato in una zona della Toscana: così il pugnitello, il mazzese e il ciliegiolo fanno riferimento all’area grossetana, il foglia tonda a quella senese, il barsaglina, il pollera e il fermentino nero all’area di Massa e Carrara, l’abrusco e l’abrostine a quella fiorentina. Tutti questi vitigni autoctoni hanno offerto spunti di grande interesse.
In particolare si sono confermate le potenzialità del foglia tonda per la produzione di vini a medio invecchiamento e quelle del mazzese per la produzione di vini giovani di largo consumo. E prospettive stimolanti in termini di qualità hanno offerto anche il pugnitello e l’abrusco: entrambi, stanno confermando in sede di applicazione tutte le positive valutazioni scaturite dalle indagini sperimentali. Grazie a queste ricerche si aprono dunque nuove prospettive in termini di varietà per i vini toscani: la nostra regione vanta un patrimonio di 127 vitigni iscritti al repertorio regionale (360 sono quelli censiti a livello nazionale) e 118 di questi sono a rischio estinzione.
L’azione della Regione volta per la tutela delle risorse genetiche autoctone sta permettendo di salvare e di rilanciare questo patrimon io: l’Arsia ha pubblicato un libro che raccoglie i 53 vitigni autoctoni a uva nera, e un analogo libro con 40 tipologie di vitigni bianchi. Ma all’attività di monitoraggio e di conservazione ora sta seguendo quella di riproduzione dei vitigni, e di valorizzazione di quelle varietà dimenticate e che invece possono dare nuova linfa alla viticoltura toscana.
Un fatto questo che ha avuto un immediato riscontro al termine del convegno di Siena, che si è concluso con la degustazione dei primi vini prodotti con i vitigni autoctoni. Si tratta di produzioni per ora esplorative, di nicchia, ma con notevoli prospettive di crescita. di Massimo Orlandi