di Federico Taverniti
Firenze- Basta definire nei mass media gli immigrati irregolari, ovvero gli esclusi dalla sanatoria, col termine di clandestini. Il presidente Martini, durante la conferenza stampa che si è tenuta a margine del convegno organizzato dalla Regione 'Immigrati, una risorsa scoperta', all'Istituto degli Innocenti, ha rilanciato la proposta.
Poco tempo fa l'idea è stata lanciata dal 'Gruppo giornalisti contro il razzismo'. L'Ordine dei giornalisti dell'Emilia-Romagna vi ha già aderito.
Martini auspica che si possa fare altrettanto in Toscana. Adottare cioè una sorta di 'ecologia del linguaggio', eliminare un termine palesemente inappropriato. «Sono persone – ha spiegato Martini - che vivono e lavorano alla luce del sole. Clandestino si riferisce a qualcosa di nascosto, ad un'attività che si compie in segreto. Il termine è molto usato nei ma ss media ed evoca un concetto negativo, segretezza, vivere nell’ombra, avere legami con criminalità». In Toscana le persone che hanno fatto domanda di regolarizzazione con l'ultima sanatoria sono state quasi 47mila; soltanto 13mila hanno avuto una risposta positiva.
«Ciò significa – ha aggiunto - che 34mila sono clandestini, quando invece si tratta di tante persone che lavorano come badanti, nell'edilizia, nelle concerie. Sono persone che si sono 'autodenunciate' ma che, a causa delle quote basse, non sono state regolarizzate. Proporrei di utilizzare un termine più appropriato, come illegali, irregolari, rifugiati, risiedenti asilo, migranti, persone o lavoratori senza documenti. In Francia ad esempio ci sono i 'Sans papiers', l'Onu suggerisce 'non document migrant workers'».
In apertura del convegno sempre Martini ha spiegato il senso dell'iniziativa.
«Cercare di discutere del tema in modo sereno. Ascoltare le opinio ni e le esperienze di persone che quotidianamente vivono a contatto con queste persone, ne condividono i problemi, con l'obiettivo di trovare soluzioni per un governo adeguato del fenomeno. Dobbiamo – ha proseguito Martini - superare l'approccio emotivo e adottarne uno basato su evidenze empiriche. Ma soprattutto dobbiamo liberarci dalla paura di questo tema perchè è grazie a questa che nascono norme e provvedimenti che cavalcano l'emergenza e l'emotività.
Ho appreso ad esempio che una parte dei parlamentari della Pdl hanno chiesto che non venga posta la fiducia sul pacchetto perchè contiene norme inaccettabili». Infine una battuta sulla localizzazione di Cie in Toscana. «Come Regione – ha concluso - non siamo stati informati di nulla a questo proposito. É una competenza del governo, che evidentemente non considera le Regioni soggetti del percorso dato che non ci ha coinvolto».
Clandestino, extracomunitario, vu cumprà, zingaro. Parole da mettere al bando, perché hanno una forte accezione negativa e non permettono all'opinione pubblica di esercitare un dibattito culturale libero da pregiudizi nell'epoca delle migrazioni di massa.
Clandestino ad esempio evoca segretezza, una vita condotta nell'ombra, ovvi legami con la criminalità, mentre invece si tratta semplicemente di una persona con il visto scaduto o in attesa di permesso di soggiorno, oppure di qualcuno che fugge da una guerra e richiede asilo.
Una grossa responsabilità nel perpetuare questa modalità “scorretta” è del giornalismo e dei mezzi di informazione di massa. Lo dimostra la ricerca “L'immigrazione nei media italiani” - curata da Anna Meli della ONG Cospe e da Carlo Sorrentino, docente della facoltà fiorentina di Scienze politiche - presentata oggi a Firenze all'interno al convegn o “Immigrati, risorsa scoperta” organizzato dalla Regione Toscana.
La ricerca ha analizzato 118 articoli apparsi sulle testate Corriere della Sera, La Repubblica, La stampa, QN, Il Giornale e Il Sole 24 Ore.
Fatta eccezione per Il Sole 24 ore, che preferisce trattare il tema dell'immigrazione con un taglio che mira a sostenere l'integrazione dei migranti, uno dei temi più trattati è quello del terrorismo. Dall'analisi degli articoli si evidenzia una tendenza verso una stigmatizzazione del mondo islamico, ridotto ad una categoria uniforme e stereotipata che tende ad assecondare e sostenere il pregiudizievole binomio islam-terrorismo.
Nello specifico un fatto isolato - l'arresto di un presunto terrorista - ha dato adito ad una serie di generalizzazioni sulla religione musulmana e sul fanatismo dei suoi fedeli, spesso rifacendosi al cosiddetto “razzismo differenzialista”, uno schema interpretativo che lascia intendere che ogni musulmano & egrave; un integralista e quindi terrorista potenziale, incapace di integrarsi in una cultura diversa e per questo la sua lealtà nei confronti del paese d’accoglienza non può essere che dubbia.
Tra i titoli apparsi sui quotidiani su citati la ricerca segnala: «Amato: Pronti a colpire. Più controlli nelle moschee sulle attività terroristiche», «Troppi fanatici Italia, attenta» «La lega musulmana: È vero allarme», «Cercano di radicarsi, occorre prevenire l'infezione». Appare evidente, secondo gli estensori della ricerca, la contrapposizione “noi/loro”, “italiano/straniero”, ecc.. L’enfasi sull’Italia paese accogliente e “italiani brava gente” porta ad essere molto più cauti quando un italiano compie un atto al di fuori del lecito e a cui può essere attribuita una matrice razzista.
La ricerca evidenzia anche come nella costruzione de lle notizie la provenienza straniera degli autori di reato – anche se presunta – è sempre sottolineata, mentre quando il reato viene subito da persone immigrate il ricorso alla provenienza nazionale o “etnica” nella denominazione cala drasticamente.
Un altro dato che salta facilmente all’occhio è la presenza piuttosto rara della voce dell’immigrato, sia in qualità di autore di articoli, sia in qualità di semplice persona interpellata sui fatti (la cosa è tanto più sorprendente se si tiene conto che quelli monitorati sono tutti articoli che riguardano direttamente e in primo luogo cittadini immigrati).
Sono soprattutto gli italiani gli attori sociali a cui viene data la parola.