Quinto film dell’autore texano trapiantato a New York Wes Anderson, scritto insieme ad una parte del clan Coppola ( Roman, fratello della più celebre Sofia e figlio di Francis Ford, e il suo cugino attore Jason Schwartzman, figlio di Talia Shire, la celebre Adriana di Rocky, sorella del regista del Padrino ) , il Treno Per il Darjeeling prosegue il discorso filmico del nemmeno quarantenne enfant prodige di Houston sulle famiglie disastrate, dopo i Tenenbaum e le Avventure Acquatiche di Steve Zissou.
I tre fratelli Whitman (lo stesso Schwartzman, Adrien Brody e Owen Wilson ) dopo non essersi parlati per più di un anno , a seguito della morte del padre, decidono di partire per un viaggio di “crescita spirituale” per
l’ India, alla ricerca della loro madre (Angelica Huston) che per reagire al lutto si è fatta suora attivista in un monastero del Rajasthan .
I tre , immaturi e candidi personaggi tipici del cinema di Anderson, inizieranno un vero e proprio viaggio iniziatico surreale e divertente, malinconico e grottesco che alla fine li vedrà forse un po’ cresciuti e senza la zavorra del passato legata all’ingombrante figura paterna deceduta.
Ognuno portatore di un disagio esistenziale, impasticcati di droghe legali, inadatti alla vita, i fratelli Whitman si scontreranno con una terra misera e bellissima, raccontata con molta onestà intellettuale da Anderson, che si diverte a mettere a confronto l’Occidente in fuga con questo mondo indiano fatto di treni colorati e sgangherati che riescono a perdersi pur muovendosi su binari, città caotiche e valori semplici e assoluti che smitizzano quell’aura di misticismo che da sempre gli attribuiamo. Bella in particolare la sequenza in cui i tre assistono al funerale di un ragazzino che non sono stati capaci di salvare dalle cascate di un fiume bizzoso e mortale.
Il parallelo fra il loro dolore di uomini non realizzati, viziati, snob e alla ricerca di un’identità, per la morte del padre, e quello autentico, sconfinato, del padre autoctono e povero che perde il figlioletto è una tappa cruciale del loro “diventare un po’ più grandi”.
Anderson ormai è un autore a sé nel panorama mondiale. Le sue non sono esattamente commedie, pur essendo film visionari ed esilaranti. C’è una forte venatura di tragedia nel suo tocco leggero, c’è una sapienza compositiva nelle sue inquadrature che vogliono sempre dire di più di quello che sembra.
I tre fratelli sono quasi sempre ripresi in gruppo in inquadrature frontali, come a sancire la loro unione “di sangue” , o in veloci panoramiche che non escludono nessuno degli Whitman in ogni situazione. Il treno è un caleidoscopio di oggetti colorati e scenografie sgargianti , come del resto i costumi (della nostra Milena Canonero ) e come sottolinea anche la fotografia del fido Robert Yeoman, da sempre collaboratore del regista fin dai tempi dei suoi esordi.
Piccoli camei per il regista Barbet Schroeder, per Nathalie Portman e per Bill Murray, un uomo d’affari occidentale che non riesce a sbarazzarsi dei suoi bagagli e perde il treno per la più straordinaria esperienza visiva e di crescita interiore che potesse capitargli, quel treno strampalato che i fratelli Whitman con le loro nevrosi occidentali riescono a mettere ulteriormente sottosopra.
Se state pensando che tutto questo sia una metafora , forse non siete troppo distanti dalla visione di Anderson.
Marco Cei